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Padre Luis Ugalde: “Il Papa non è comunista. Non lo è mai stato, né mai lo sarà”

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Macky Arenas

Macky Arenas - pubblicato il 09/03/17

"Occorre interpretare capitalismo e socialismo con lo stesso spirito critico", afferma l'ex rettore dell'università Andrés Bello di Caracas

È arrivato in Venezuela da ragazzo. Originario di Vergara nei Paesi Baschi, ormai è più venezuelano dell’arepa, il pane tipico. Se si nominano tre gesuiti rappresentativi del Venezuela, lui è uno di loro. Ha un dottorato in storia, è teologo ed è stato rettore dell’università cattolica Andres Bello per 20 anni e per quattro ha diretto la formazione per tutte le istituzioni gesuite in America Latina.

Il governo lo teme e l’opposizione lo rispetta. È l’autorità di riferimento in materia di istruzione nel continente e la sua voce e la sua penna sono come una bussola, in questo paese travagliato – di cui ognuno ne approfitta.

– Padre, quali soluzioni per il Venezuela?

È fondamentale una leadership che infonda speranza e incoraggiamento tra le persone. Il documento della Conferenza Episcopale (gennaio 2017) è impressionante per la sua chiarezza. Afferma espressamente la necessità della speranza, che è ciò che più manca in Venezuela in questo momento. I leader politici sono vessati e minacciati e, pertanto, il fronte deve essere esteso alla società civile attiva.

Si tratta di una chiamata notevolmente chiara a combattere la disperazione. Personalmente ho intenzione di essere coltivatore di speranza e spero di farlo bene.

– Lo sta facendo, Padre, ma c’è molta confusione…

Non è che domani vedremo un milione di persone per le strade, ma ci saranno diverse iniziative per mobilitare il tessuto della società. I militari devono vedere la realtà, ritrovare la propria vocazione democratica e dire: “Se ciò che il governo produce è la realtà che stiamo vedendo, allora è una dittatura”.

– Provocare la fame non è peccato sociale? Non hanno ancora consentito l’azione della Caritas…

In Cile di Pinochet aveva sviluppato una repressione politica e i suoi primi anni sono stati terribili a livello socioeconomico. Eppure quella dittatura di ferro ha consentito l’azione della Caritas, che, con il sostegno internazionale, ha creato un importante centro per la difesa dei diritti umani, così come le pentolate popolari, in modo che quella popolazione, con la disoccupazione al 63% (1983), avesse la possibilità di recarsi in chiesa per prendere almeno un pasto caldo al giorno.

La Caritas è di vitale importanza in situazioni come quella che vive il Venezuela, ma se il governo non la autorizza contribuisce alla miseria. Ciò che fa male è che il mondo vede il nostro disastro, un paese basato sul petrolio che deve elemosinare a causa delle politiche pessime che rimangono attive. Non sono interessati alla sofferenza della gente.

– Quando il Papa parla della povertà dicono che sia comunista…

La gente è ossessionata e se la Chiesa non si pone in maniera radicale e non punta i fucili contro il governo, allora suppongono che sia venduta. Il Papa non parla di Cuba o di Venezuela. Non ha mai detto che a Cuba la causa dei problemi è l’impresa privata, né l’ha detto per il Venezuela. Tuttavia ha detto che in molti paesi il capitalismo finanziario ha portato a una spaventosa crisi. Molto diverso che dire che essere ricchi è un male.

Negli Stati Uniti, la crisi Enron è un esempio. Un capitalismo che non difende i principi etici fondamentali e non dispone di una regolamentazione da parte dello Stato è squilibrato. Se il Papa lo dice, allora è un comunista.

– Dicono che sia peronista, per essere precisi…

Ricordate che il peronismo tradizionale non è mai stato comunista, piuttosto era profondamente anticomunista; solo alla fine nacque una linea di sinistra, durante il periodo di Isabelita, un movimento di guerriglia poi represso. Aveva caratteristiche simili a quelle di populisti e fascisti. Ma mai comunista. Il Papa non è mai stato, né è, né sarà comunista. È assurdo e infantile giungere a una conclusione simile.


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– Si fa notare, però, che simpatizzi per la teologia della liberazione e che, per molti, essa sia prossima al marxismo…

Ancora una volta, devo dire, il Papa non è annoverabile nella Teologia della Liberazione. In Argentina, infatti, è più sviluppata la teologia del Popolo.

Il problema era che alcuni teologi della liberazione troppo facilmente hanno accettato il socialismo nella mediazione sociale e politica senza una dovuta lettura critica. Quando la teologia della liberazione dice che il cristianesimo non è opprimente ma liberatorio, prende una posizione teologica valida. Non si dovrebbe dire alla società come organizzarsi e strutturare la propria economia.

Alcuni autori suggeriscono che il problema è nella mediazione, eppure criticano il capitalismo per la povertà e la disumanizzazione delle nostre società senza soffermarsi, allo stesso modo, sugli eccessi del blocco sovietico. Per non menzionare ciò che accadeva nel Cile di Allende o nella Cuba di Castro. È semplicistico dire “questo è male, allora quest’altro è buono”; poteva essere comprensibile e perdonabile negli anni Settanta, ma in questo momento no.

È caduto muro di Berlino, è crollato senza sparare un colpo, perché che non ha funzionato. Il marxismo-leninismo non ha funzionato in tutto il blocco e oggi è chiaro che dove non c’è libertà c’è miseria. Sono intrappolati senza possibilità di uscita. Per questo motivo è necessario leggere il capitalismo e il socialismo con lo stesso spirito critico.

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– Ci sono posizioni molto polarizzate quando si affronta questa discussione…

La cosa è chiara: non c’è economia di successo nel mondo non capitalistico. Hanno fallito tutti i tentativi. Ma se vogliamo che serva il bene comune, c’è l’esigenza di volare con due ali, l’economia con la sua logica e lo Stato che faccia da garante della solidarietà. La bravura è nel saper combinare entrambe le cose.

L’economia sociale di mercato dei democristiani tedeschi è un buon esempio. Conta il profitto ma anche l’impegno per il bene comune di tutta la società. La frase di Marx: «Il lavoratore non ha nulla da perdere se non le proprie catene” non ha alcuna validità. Oggi i lavoratori hanno una giurisprudenza sul diritto al lavoro e innumerevoli tutele professionali dovute alle moderne lotte sindacali.

Se la solidarietà sociale funziona, il denaro investito per essa eviterà un aumento della spesa per la repressione e le guerre, sia interne che esterne.

– Anche la teologia della liberazione è quindi superata…
Oggi non si può fare teologia della liberazione in maniera semplicistica come fa qualcuno. Nell’Argentina di Bergoglio hanno paura che troppo facilmente essa venga collegata all’ideologia marxista e che quest’ultima venga accettata come mediazione valida. Era un popolo credente, di grande fede. Perciò egli dedusse che avrebbero dovuto sostenere gli sforzi per una teologia vicina alle sofferenze del popolo, ma senza accettare la componente socialista-marxista.

È sempre stato chiaro che è necessario accompagnare il popolo manche richiedere analisi economiche, sociali e politiche derivate dalle varie scienze. La gente va accompagnata verso la propria devozione, ma si deve anche studiare e c0nsultare gli esperti, proprio quello servirebbe oggi in Venezuela.

– Per la Compagnia di Gesù, non è un impegno molto pesante avere, al tempo stesso, un Papa latinoamericano e un Padre Generale del Venezuela di formazione gesuita?

Io non credo. Ribadisco che ci muoviamo in circoli ossessionati follemente, che pensano che se il Papa non caccia Maduro e Raul Castro è un venduto. La gente capisce il Papa, che non parla come se stesse in una cattedra universitaria, ma parla alla gente, a ciascuno partendo dalle proprie vicende.

Questo è quello che faceva Gesù, che non era nella sinagoga ma portava l’irruzione di Dio nelle vite delle persone. Questo è quello che ha fatto il Papa e lo ha fatto molto bene. Ad alcuni dà fastidio che il Papa si esprime senza filtro. Lui è un pastore, parla e dà la priorità alla possibilità che le persone comprendano non il suo messaggio, ma il messaggio centrale del Vangelo.

– La Curia vaticana sembra essere la prima ad avere difficoltà a capire…

La Curia vaticana ha bisogno di cambiare. Ci sono retaggi del tempo di Carlo Magno e delle corti rinascimentali italiane negli stili e nei modi, e il Papa si chiede se tutto questo aiuti Gesù a raggiungere le persone. Se non aiuta, bisogna cambiarlo. È tanto semplice. Ed è ciò che sta facendo.

– A volte tanto vigore in un istituzione millenaria può allontanare qualcuno e avvicinare qualcun altro…

Esatto, ma non c’è rimedio. La cosa importante è il Vangelo. Gesù aveva guarito e frequentato il pubblicano pentito e i farisei lo misero nel mirino. La pratica – e non la portata teorica di Gesù – rappresentava una minaccia perché le religioni tendono a rendere solenni e sacralizzare cose che sono secondarie.

Gesù non ha mai fatto un discorso contro la legge, era ebreo, ma il suo approccio nei confronti della gente sembrava una sfida. È stato il confronto, nell’epoca dei profeti, tra la religiosità rituale e il profetico. Geremia li sfidò: non perché sono nel tempio del Signore sono salvati anche se sfruttano i poveri, la vedova e lo straniero.

E non riguarda solo gli ebrei, avviene in tutte le religioni, è la condizione umana. La cosa importante non è il rito, la legge o il denaro, ma la vita delle persone. Ci sono persone che non amano i modi del Papa. A me non disturbano affatto. Il Papa è un gesuita, ma è “privo della disciplina di partito” (*)


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– Ahah… ma non vi è alcun dubbio che affronta delle resistenze

Le cose che il Papa sta condividendo sono di tale dimensione, in un mondo secolarizzato, che coloro che pensano che la Chiesa debba restare inamovibile si sbagliano. Se fosse così, la chiesa sarebbe vuota, come si sta svuotando in Europa. Questa è la prospettiva.

Non è che dobbiamo adorare il Papa. Dobbiamo insegnare Gesù Cristo e il Papa è un mediatore con Gesù Cristo, è un servitore. Ma non dobbiamo esserne nemmeno detrattori. Abbiamo poi gente che aspetta solo una parola del Papa per definirlo un comunista. Le cose che il Papa sta dicendo le ha dette anche Pio IX!


(*) In Venezuela, quando un candidato alla presidenza del suo partito vince le elezioni, il suo partito lo libera dalla disciplina partitica così che, da quel momento, si dedica del tutto al paese.

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