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Cosa provoca la dislessia? La risposta potrebbe essere negli occhi

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Sophia Swinford - pubblicato il 21/11/17

Gli scienziati potrebbero aver trovato la causa dietro questa difficoltà comune dell'apprendimento

Anche se tra il 5 e il 10% della popolazione mondiale soffre di dislessia, si sa molto poco sulle cause di questo disturbo. Alcuni studi hanno dimostrato che le persone dislessiche fanno più affidamento su un emisfero del cervello che sull’altro, ma non è stata stabilita alcuna causa esatta. Una nuova ricerca condotta dall’Università di Rennes (Francia) potrebbe tuttavia indicare un nuovo legame tra la dislessia e i recettori della luce negli occhi.

La dislessia è una difficoltà dell’apprendimento che influisce su lettura, scrittura e ortografia. La nuova ricerca mostra che le persone che ne sono affette hanno un assetto diverso dei coni, le cellule negli occhi responsabili della luce rossa, blu e verde. Nella maggioranza della popolazione, l’assetto in queste cellule è asimmetrico, il che vuol dire che la luce non viene assorbita allo stesso modo in ogni occhio. Questo fa sì che la persona sviluppi un occhio “dominante” la cui recezione della luce è favorita rispetto a quello non dominante.

Le persone dislessiche sembrano avere invece un assetto simmetrico, e ciò fa sì che il loro cervello processi alcune immagini come allo specchio. Ad esempio, la “b” e la “d” apparirebbero uguali. Visto che la configurazione dei coni è la stessa in entrambi gli occhi, il cervello non riesce a distinguere quale recezione della luce sia più accurata.




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Gli scienziati hanno anche scoperto che una luce lampeggiante invisibile di una lampada LED aiuta a cancellare un’immagine “allo specchio”, permettendo alla persona dislessica di vedere le lettere in modo corretto.

Il team di studiosi non è tuttavia riuscito a capire se queste configurazioni simmetriche siano la causa diretta della dislessia o il risultato di un fattore neurologico sottostante.

Ad ogni modo, è un passo avanti nella scoperta delle cause del disturbo, che potrebbe portare a nuovi interventi e auspicabilmente a nuovi modi per aiutare le persone con disturbi dell’apprendimento a sfruttare al massimo il proprio potenziale.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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