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Applausi durante la Messa? Ma è liturgicamente corretto?

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Toscana Oggi - pubblicato il 07/03/18

Un’abitudine sempre più diffusa...

Mi avevano insegnato che in chiesa si sta composti, e non si applaude mai. Adesso invece vedo che l’abitudine di salutare con applausi certi momenti, soprattutto durante i sacramenti (battesimi, matrimoni…) è sempre più diffusa, e spesso sollecitata dagli stessi sacerdoti. A me non piace. Sono io che sbaglio?

Rosa Gamucci

Risponde padre Lamberto Crociani, docente di Liturgia alla facoltà teologica dell’Italia centrale.

Gentilissima lettrice, il suo intervento richiede un’attenta e seria riflessione. Non si tratta, infatti, di un problema di gusto, ma piuttosto di  comprensione del senso della celebrazione eucaristica durante la quale, sempre più spesso, risuonano fragorosi applausi. Sull’argomento non esiste alcun pronunciamento della congregazione del culto divino e dei sacramenti, forse perché la tradizione liturgica latina non è priva di questa testimonianza all’interno della liturgia. Sappiamo che Sant’Agostino veniva spesso interrotto con applausi durante le sue omelie, perché il popolo che lo ascoltava esprimeva l’approvazione per quanto udito nella mistagogia del proprio vescovo.

Anche altri momenti avevano interventi siffatti del popolo per esempio all’ingresso e all’uscita, ma col passare dei secoli la Chiesa latina ha abbandonato l’uso di applaudire, specie in una nuova visione del culto pubblico inteso solo come un’azione mistico-sacrale: un’Eucaristia, pertanto, letta in modo ben diverso dalla cena sacrificale, memoriale del sacrificio di Cristo, così realisticamente descritta dall’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinti. Appunto il misticismo sacrale è quanto rimpiangono i cosiddetti sostenitori della «messa antica», velata ancora di più dall’uso di una lingua incompresa e dalla fine del primo millennio ormai legata alla tradizione sacrale.




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L’uso di applaudire, tornato in vigore negli ultimi tempi e, favorito sia da vescovi che da presbiteri, ha suscitato una certa perplessità e aperti rifiuti. Si noti anche che lo scrivente – pur distaccandosi dalla comune reazione – non condivide l’applauso, ma non può certo radicarsi al suo gusto particolare.

Ora dobbiamo considerare in quali momenti oggi si fanno scrosciare gli applausi. In genere dopo un battesimo, dopo lo scambio dei consensi degli sposi, una professione religiosa o un’ordinazione. Qui sorge l’interrogativo se l’applauso sgorga per la realizzazione dell’opera salvifica (sacramento) celebrata o per esprimere un particolare consenso alle persone che il sacramento hanno ricevuto quale dono della misericordia del Padre. Questo è il vero discriminante tra l’applauso della Chiesa dei Padri e quella del nostro tempo. La realtà è che oggi si applaudono gli uomini e non l’opera di salvezza. Mi spiego: durante le sue omelie l’applauso rivolto ad Agostino non era per l’uomo che parlava ma per il contenuto della sua predicazione, come fanno comprendere i testi che li sottolineano.




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A tale proposito nella sua Introduzione allo spirito della liturgia l’allora card. J. Ratzinger sosteneva: «Là, dove irrompe l’applauso per l’opera umana nella liturgia, si è di fronte a un segno sicuro che si è del tutto perduta l’essenza della liturgia e la si è sostituita con una sorta di intrattenimento a sfondo religioso». Bisogna attentamente riflettere su queste parole che non condannano il gesto in sé, ma piuttosto – mi sembra – vogliono attaccare le motivazioni del gesto per una perdita dello spirito della liturgia che non è sicuramente riferibile solo a questa azione ma alla comprensione reale della celebrazione e della stessa assemblea liturgica.

Il punto di partenza deve essere collocato sul contenuto della celebrazione. Nella Chiesa si celebra soltanto Cristo Signore Risorto nelle diverse angolature che offre ogni giorno il Vangelo. La Madre di Dio e i Santi stanno all’interno di questa unica celebrazione e non sono il reale oggetto celebrativo. Ne consegue che nell’amministrazione dei sacramenti – quasi tutti oggi legati all’Eucaristia – il soggetto celebrativo è sempre il Risorto: infatti è lui stesso che battezza unendo il soggetto umano al suo corpo, e sempre lui unisce tra loro gli sposi quali membra della sua Sposa, e nello stesso modo è Cristo che offre per affetto fraterno il dono dell’ordinazione per assimilare al suo ministero salvifico alcuni fratelli, e nello stesso modo è lui che concede il dono di vivere in modo peculiare i consigli evangelici e la vita di comunione fraterna ad alcuni uomini e ad alcune donne. Ne risulta così che la componente umana è totalmente assimilata al Signore, che resta sempre l’unico centro cui tutta l’attenzione deve rivolgersi e che si manifesta vivo nei fratelli e nelle sorelle che hanno ricevuto i doni della grazia del Padre mediante Cristo nello Spirito Santo.

Dalla comprensione di questa realtà dipende l’applauso. Pertanto mi domando: l’assemblea batte le mani con forza quando il diacono, l’Angelo della Risurrezione, termina di cantare il Vangelo o quando con l’Evangeliario il vescovo benedice il popolo, non perché il primo ha una bella voce e l’altro è il vescovo, ma perché il Risorto nella sua parola proclamata ci unisce al Padre?

Ciò che si può percepire da questi due esempi è che nell’uno e nell’altro caso la dominante nell’assemblea è il silenzio, la contemplazione e la vera gioia che il Signore ha concesso mediante i segni umani.

Per concludere: non si tratta qui della condanna del gesto in sé, ma dell’uso che di questo si fa nell’indirizzarlo. Se la prospettiva è umana, si è persa la verità del mistero celebrato e allora credo che il gesto non risponda alle necessità. Se invece è l’espressione di accoglienza del Risorto che ha operato mirabilmente la salvezza lo scrosciare degli applausi diviene espressione di rendimento di grazie al Padre mediante il Figlio nello Spirito Santo.

Gentile lettrice, come può rendersi conto la valutazione del gesto non sta nel gusto personale ma nelle motivazioni che spingono i fedeli e il clero ad applaudire, anche se in genere sono convinto che si tratti quasi sempre della motivazione umana. Di questo non possiamo accusare il popolo di Dio, che lentamente deve riacquistare l’idea che il luogo della celebrazione è la casa della comunità, realtà che la parola chiesa sottende. Dobbiamo invece preoccuparci di una vera formazione del popolo di Dio a livello liturgico non nel vecchio senso mistico-sacrale e neppure nella conoscenza rubricale delle celebrazioni, utile ma non qualificante un’assemblea che celebra.

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