I Padri del deserto, cristiani rifugiati nei deserti di Mesopotamia, d’Egitto, di Siria e di Palestina tra il III e il VII secolo, vivevano da eremiti in capanne, grotte, su colonne o alberi. Cercavano una vita di solitudine, di lavoro manuale, di contemplazione e di silenzio, con lo scopo di crescere spiritualmente. Convinti dell’unione intima tra il corpo, l’anima e lo spirito, i Padri del deserto, che potremmo definire “i primi psicoterapeuti”, hanno elaborato raccomandazioni per curare le «malattie dell’anima». Tra queste raccomandazioni spicca il controllo dei pensieri, e questo grazie a un metodo: la custodia del cuore. Jean-Guilhelm Xerri, psicanalista e biologo medico, sviluppa questa pratica nel suo Petit traité d’écologie intérieure : Prenez soin de votre âme [Piccolo trattato di ecologia interiore: Prendetevi cura della vostra anima] (Le Cerf).
Perché controllare i pensieri?
Secondo i Padri del deserto, i pensieri incontrollati sono all’origine di alcune malattie dell’anima. Hanno identificato otto malattie noopsichiche, di origine spirituale, classificate da Evagrio Pontico: le avidità di ogni sorta, il rapporto patologico col sesso, il rapporto patologico col denaro, la tristezza, l’aggressività, l’accidia (male dell’anima che si esprime nella noia, nella pigrizia), la vanità e l’orgoglio. Queste otto malattie generiche hanno una patologia fontale: il narcisismo, che i Padri chiamano “filautia”, eccessivo amor proprio.
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Una delle cause dei pensieri considerati perturbanti: l’immaginazione. L’immaginazione incontrollata fa nascere visioni che talvolta occupano i nostri spiriti al punto da invaderci. Sorgono allora scenari catastrofici, immagini pornografiche, onori immeritati… «L’immaginazione conduce a farsi dei film interiori non sempre giusti né pacificanti», riassume Jean-Guilhelm Xerri. Ora, il controllarli sta a noi:
Che i pensieri vengano a turbarci o no fa parte delle cose che non dipendono da noi. Ma che restino i noi o no, che suscitino passiono o no, questo invece è in nostro potere e dipende da noi.
Così ha scritto uno dei Padri – Giovanni Damasceno – nel suo Discorso utile all’anima. Saremo sempre teatro di sensazioni e di pensieri: la questione è “cosa ne faccio?”. «Davanti a un pensiero – ricorda Jean-Guilhelm Xerri – l’uomo ha diverse possibilità: acconsentirvi o no, alimentarlo o resistergli».
Per gli antichi, l’obiettivo del controllo dei pensieri è di raggiungere l’hesychía, stato caratterizzato da una pace, una calma, un riposo, un silenzio e una profonda solitudine interiore, tutte cose necessarie alla contemplazione spirituale degli esseri e delle cose e alla conoscenza di Dio. I Padri del deserto prescrivono parecchi modi per arrivarci: la custodia del cuore, la sobrietà, l’ospitalità e le pratiche meditative.
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Che cos’è la custodia del cuore?
La custodia del cuore – in greco népsis (vigilanza) – è l’attenzione portata a tutto quello che accade nel nostro cuore. È un metodo spirituale che punta a liberare l’uomo dai pensieri cattivi o passionali. Essa invita a osservare i pensieri che permeano la nostra anima, a discernere i buoni dai cattivi. Evagrio diceva:
Sii attento a te stesso, sii il portinaio del tuo cuore e non lasciar entrare alcun pensiero senza interrogarlo.
Perché – precisa Jean-Guilhelm Xerri – «gli antichi constatano che i pensieri sani conducono a uno stato di benessere, gli altri a uno di turbamento».