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Stato di Washington: la pena capitale viola la costituzione statale

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Paul De Maeyer - pubblicato il 23/10/18

Anche la Malaysia sta facendo passi verso l’abolizione

La Corte suprema dello Stato di Washington, nell’estremo nord-ovest degli USA, ha ribaltato giovedì 11 ottobre all’unanimità la pena capitale, perché “imposta in modo arbitrario e razziale”. Per l’organismo, la pena massima viola infatti la Costituzione dello Stato.

“La pena di morte, come amministrata nel nostro Stato, non serve a nessun obiettivo penologico legittimo; quindi, viola l’articolo I, sezione 14 della Costituzione del nostro Stato”, ha scritto la Chief Justice o presidente della Corte suprema dello Stato, Mary Fairhurst, nella sua motivazione, citata dal Seattle Times.

Nella loro sentenza, i giudici supremi dello Stato hanno anche dato l’ordine di tramutare la pena di morte in ergastolo per le otto persone attualmente ancora rinchiuse nel braccio della morte.

“Con questo giudizio, Washington diventa il 20° Stato della Nazione a non avere la pena di morte e io sono d’accordo con questo”, così ha dichiarato il procuratore della contea di King, Dan Satterberg.

In alcuni casi — ha spiegato il rappresentante dell’accusa — l’iter giudiziario è andato avanti per più di vent’anni. Oltre all’enorme costo, le sentenze capitali vengono poi spesso ribaltate e non contribuiscono alla sicurezza pubblica, così ha aggiunto Satterberg.

Moratoria

Del resto, nello Stato vigeva dal 2014 una moratoria, decisa dal governatore Jay Inslee, appartenente al Partito Democratico. In un recente sondaggio condotto da Public Policy Polling, più di due terzi, ossia il 69%, degli intervistati nello Stato si erano dichiarati favorevoli all’ergastolo, per chi ha commesso un omicidio, invece della pena di morte.

Dal 1993 sono state eseguite nello Stato di Washington cinque condanne alla pena capitale, e l’ultima esecuzione ha avuto luogo nel 2010. Come ricorda sempre il Seattle Times, in tutti i casi i condannati erano uomini. Due sono stati giustiziati per impiccagione e tre per iniezione letale. Nello Stato di Washington non è mai stata messa a morte una donna, sottolinea la stessa fonte.

“La pena di morte sta diventando un anacronismo a livello nazionale, in parte perché la società si è evoluta, ha maturato e comprende meglio che si tratta di un sistema di punizione fallace”, così scrive in un editoriale il Seattle Times, che parla inoltre di una “giornata di orgoglio” per lo Stato e ricorda che già 19 altri Stati avevano preceduto lo Stato di Washington, abolendo la pena capitale.

Abolita in 20 Stati degli USA

Come soprammenzionato, in quasi la metà dei 50 Stati dell’Unione, cioè 20, la pena capitale è stata abolita o dichiarata incostituzionale. Oltre allo Stato di Washington, si tratta dei seguenti Stati (in ordine cronologico): Michigan (1846), Wisconsin (1853), Maine (1887), Minnesota (1911), Alaska (1957), Hawaii (1957), Vermont (1964), Iowa (1965), Virginia Occidentale (1965), Nord Dakota (1973), Massachusetts (1984), Rhode Island (1984), New Jersey (2007), New York (2007), Nuovo Mexico (2009), Illinois (2011), Connecticut (2012), Maryland (2013) e Delaware (2016).

Mentre nel Vermont l’abolizione non è totale, nel senso che rimane in vigore per chi si rende colpevole di alto tradimento, in alcuni casi essa risale persino all’Ottocento, come ad esempio nei casi di Michigan e Wisconsin, dove è avvenuta ancora prima della guerra di secessione americana (o guerra civile americana, 1861-1865), rispettivamente nel 1846 e nel 1853.

In quattro altri Stati vige una moratoria dell’esecuzione della pena di morte: in Oregon (dal 22 novembre 2011, in vista dell’abolizione), Colorado (dal 22 maggio 2013), Pennsylvania (dal 13 febbraio 2015) e infine nello Stato più popoloso di tutti gli USA, la California (dal 17 luglio 2014). Invece in altri grandi Stati, come Florida e Texas, la pena capitale è rimasta.

Corte Suprema degli USA

Anche la Corte suprema degli USA si sta occupando in questi giorni della pena di morte, in particolare di due quesiti, ricorda il sito Catholic News Service (11 ottobre). Il primo quesito, che parte da un caso specifico nell’Alabama, è se si può giustiziare un detenuto affetto da demenza, anche se egli non si ricorda più il delitto per il quale è stato condannato alla massima pena.

Invece il secondo quesito, basato sul caso di un detenuto rinchiuso nel braccio della morte dello Stato del Missouri, riguarda la domanda se un prigioniero affetto da una patologia particolare possa essere messo a morte con un metodo meno doloroso a causa delle sue condizioni, ad esempio attraverso l’utilizzo del gas invece dell’iniezione letale.

Secondo Krisanne Vaillancourt Murphy, direttrice esecutiva del Catholic Mobilizing Network, i due casi — rispettivamente Madison contro l’Alabama e Bucklew contro Precythe — “mettono davanti agli occhi di tutti l’inattuabilità e la disumanità della pena capitale”.

Come ha osservato il giudice Stephen Breyer, membro della Corte Suprema dal 1994, a causa dell’invecchiamento dei condannati che attendono la loro esecuzione — in alcuni casi da 20 a 40 anni –, si tratta di una problematica destinata a diventare “sempre più comune”.

Mentre l’VIII emendamento della Costituzione degli USA vieta di infliggere “pene crudeli e inconsuete” (cruel and unusual punishments), la stessa Corte suprema ha stabilito nel 2003 che l’esecuzione di persone affette da ritardi mentali va considerata una violazione dell’VIII emendamento, ricorda il CNS.  

La Malaysia verso l’abolizione

Anche in Malaysia la pena capitale ha ormai le ore contate, almeno se il parlamento del Paese del Sud-est asiatico approverà l’iniziativa promossa dal governo del primo ministro Mahathir Mohamad, eletto nel maggio scorso. Ad annunciare la mossa è stato mercoledì 10 ottobre il ministro della Giustizia Liew Vui Keong.

La notizia è stata confermata giovedì 11 ottobre dal ministro delle Comunicazioni, Gobind Singh Deo. “Questo fa parte della nostra promessa elettorale ed è anche in linea con l’allontanamento dalla pena capitale nel resto del mondo”, così ha detto il membro del governo.

Secondo l’agenzia Fides, nel braccio della morte della Malaysia circa 1.267 detenuti attendono la loro esecuzione, vale a dire il 2,7% dell’intera popolazione carceraria del Paese, che conta oggi 60.000 persone. “La nostra opinione è che le condanne alla pena capitale già comminate non debbano essere eseguite. Sosteniamo la possibilità di commutare le loro pene”, così ha spiegato l’attivista cattolico Hector Fernandez, membro dell’ONG Malaysians Against Death Penalty and Torture (MADPET).

L’ONG ha espresso la speranza che i deputati e i senatori dei partiti dell’opposizione nel parlamento di Putrajaya (così si chiama il nuovo distretto amministrativo federale del Paese) “sosterranno pienamente la mossa giusta per abolire la pena di morte”, si legge in una dichiarazione pubblicata sul sito Internet dell’organismo.

Bangladesh: la pena di morte come arma nella lotta contro la droga

Molto diversa si presenta la questione della pena di morte in Bangladesh, dove il governo del primo ministro Sheikh Hasina ha approvato infatti lunedì 8 ottobre un progetto di legge, che prevede l’applicazione della pena capitale come arma nella lotta contro la droga.

L’emendamento alla Narcotics Control Act del 1990 definisce per la prima volta le pasticche di yaba (una sostanza sintetica a base di metanfetamina) come droga e propone poi la pena capitale come sentenza massima per “la produzione, il traffico clandestino, la distribuzione e il consumo di più di 5 grammi di yaba”, ha spiegato il segretario di gabinetto, Mohammad Shafiul Alam.

Servono pene più severe per frenare la diffusione della yaba, che viene importata clandestinamente dal vicino Myanmar, ha sostenuto Alam, ma secondo i critici la mossa esprime solo la deriva autoritaria dell’esecutivo in vista delle prossime elezioni.

Si teme una guerra contro la droga simile a quella che il presidente Rodrigo Duterte sta portando avanti nelle Filippine, caratterizzata da un altissimo numero di uccisioni extragiudiziali. Dalla metà del mese di maggio, le forze di sicurezza del Bangladesh hanno infatti ucciso oltre 200 persone. Secondo il gruppo per i diritti umani Odhikar, in più di un terzo dei casi i sospetti erano stati arrestati prima di essere uccisi.

Giornata mondiale contro la pena di morte

In occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, celebrata ogni anno il 10 ottobre, il segretario-generale delle Nazioni Unite, il portoghese Antonio Guterres, ha ricordato che attualmente in circa 170 Paesi del mondo la pena capitale è stata abolita o è stata introdotta una moratoria delle esecuzioni.

Ma persino in Europa ci sono tuttora delle esecuzioni. La Bielorussia è infatti l’unico Paese del continente a mantenere la pena capitale e per ora non intende fare passi verso l’abolizione, così ha detto il rappresentante permanente del governo di Minsk presso il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, Jurij Ambrazevic, così riporta il sito RaiNews. Più di 400 condanne a morte per fucilazione sono state eseguite nell’arco degli ultimi due decenni nel Paese, ricorda il sito.

Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, presentato nell’aprile scorso, nell’arco del 2017 almeno 993 persone — cioè 39 in meno rispetto al 2016 — sono state messe a morte in tutto il mondo, ma si tratta solo di una stima minima, perché mancano i dati relativi a Paesi come la Cina, dove il numero delle esecuzioni è infatti un “segreto di Stato”.

Escludendo la Cina, l’84% di tutte le esecuzioni documentate sono state effettuate in soli quattro Paesi del globo: Iran (almeno 507, di cui almeno 5 erano minorenni al momento del reato), Arabia Saudita (146), Iraq (almeno 125) e Pakistan (almeno 60).

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