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«Voglio piacere… è grave, dottore?»

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Alain Quilici - pubblicato il 16/10/19

Ci sono molti modi di piacere agli altri, ma quello migliore di riuscirci è utilizzare metodi graditi a Dio.

Tutti vogliono piacere a tutti. Basta osservare un poco attorno a sé per accorgersi del gioco a cui tutti gli esseri viventi giocano con tutti gli altri. Le parate nuziali delle differenti specie animali, che splendidi documentari ci svelano indiscretamente, fanno parte di quelle campagne di seduzione che sembrano essere una delle principali occupazioni sulla faccia della terra. Quel che in natura si vive istintivamente, però, nell’uomo si accresce di una dimensione culturale, psichica e spirituale. È innegabile che ci sia nel cuore e nel comportamento dell’uomo come una necessità di piacere agli altri, così come il fatto che egli venga attratto da quel che gli piace e da quanti riescono a piacergli. Misterioso fenomeno di attrazione e repulsione!




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In funzione di quale criterio, per esempio, scegliete i vostri vestiti e le vostre scarpe? È solo la loro utilità ad orientare la scelta, oppure l’impressione che intendete fare mediante quei mezzi? Non è forse vero che impieghiamo una cura meticolosa nello sceglierli, domandandoci che cosa ne penseranno gli altri e cercando di divinare se la cosa piacerà loro? Niente ci spaventa di più del non piacere, e facciamo di tutto per evitare il rischio. Non è il desiderio di piacere che fa la fortuna dei parrucchieri e dei profumieri, che infonde la pazienza per passare ore in sala trucco e che fa trasalire quando ci si rende conto con orrore di una macchiolina sulla camicetta appena comprata che ci siamo messi per uscire?

Piacere. Sì, ma come?

L’uomo ama che lo si ami. Egli ama essere apprezzato. Egli conferisce al desiderio di piacere più importanza di quanta non si ammetta. Se non c’è alcun male in questo, sarebbe pure onesto domandarsi a chi si vuole piacere, e quali mezzi si dispongono per conseguire tale fine. La questione è tale da meritare l’attenzione di tutti e di ciascuno.




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Si vuole piacere in società come si vuole piacere alle persone che si conoscono. Si vuole poter piacere alle persone che si incrociano per strada (chi non si è mai girato a vedere se gli altri si sono girati?) e a quelli che frequentiamo assiduamente, tutti i giorni. Si vuole piacere alla persona amata, ed è normalissimo. Si vuole piacere agli amici, ma talvolta anche agli amici degli amici. Si vuole piacere soprattutto ai compagni di strada, la cui opinione conta talvolta così tanto che non cessiamo di domandarci “Che cosa pensano di me?”, “Tu credi che io gli piaccia?”. Ognuno faccia il proprio bilancio. Quanto ai mezzi di seduzione, non c’è che l’imbarazzo della scelta. La tenuta? Il look? La conversazione? La muscolatura? Lo humour? Il sorriso? E l’elenco è ancora lungo.

Che cosa piace a Dio? Un cuore retto

Ma ecco che s’impone una questione: mi preoccupo di piacere a Dio? Ho cura di piacerGli? E che cos’è che piace a Dio? Se arrivassi a farmi un’idea di quel che piace a Dio, ci vedrei sicuramente più chiaro sui mezzi più onesti e più corretti che posso utilizzare per piacere agli altri. Quel che piace a Dio – dice la Scrittura – non è l’apparenza, ma quel che accade nel cuore. Quel che piace a Dio è la qualità di un uomo buono, ciò che vive nel più profondo di lui. Quel che Gli piace è la rettitudine di vita, è un uomo che vive quel che professa. Quel che Gli piace sono gli animi semplici e senza doppiezze. Quel che Gli piace sono quelli su cui si può contare, perché sono persone di parola – non mentitori, gente dalla vita e dal linguaggio doppî. Dio ama i cuori retti; ecco quanti Gli piacciono. Come canta il salmo:

Preserva la lingua dal male
e le labbra da parole malvagie.

Sta’ lontano dal male e fa’ il bene,
cerca la pace e perseguila.

Sal 33,14-15

Contrariamente agli uomini, Dio non guarda a ciò che carezza momentaneamente lo sguardo ma che poi non ha vero valore. Dio non si fida delle impressioni, e guarda invece al cuore della gente. Egli ama le intenzioni rette e la fedeltà alle convinzioni.

La vostra cura non sia dell’esteriorità – acconciature elaborate, gioielli d’oro, vestiti ricercati – ma che sia invece una qualità d’umanità intima al vostro cuore, mise imperitura di uno spirito dolce e quieto: ecco che cosa ha valore davanti a Dio.

1Pt 3,3-4

Dunque voler piacere non è biasimevole, anzi può essere una cosa eccellente. C’è però modo e modo. Ci sono regole di condotta buone e altre meno buone. Fondamentalmente, bisognerebbe non voler piacere agli uomini se non coi mezzi che piacciono a Dio. Bisognerebbe attribuire meno importanza alle forme e alle maniere e di più alle qualità del cuore. Quel che, a prima vista, è invisibile agli uomini ma che Dio vede: ecco che cosa deve saltare agli occhi di quelli a cui vogliamo piacere.

Non voler piacere che per il meglio di sé stessi

Tutta l’energia che dispieghiamo per piacere agli altri dovremmo impiegarla per piacere a Dio; e i mezzi disposti per piacere a Dio servono anche per piacere agli uomini. Ciò dovrebbe aguzzare in noi il desiderio di piacere a Colui che vede nel segreto, quando si prega e la porta della stanza è chiusa. È lo scopo a cui mirano quanti si ritirano nei deserti: non hanno altro spettatore che Dio, non hanno alcuno a cui piacere se non Dio stesso. Sanno di non poter bluffare, non giocano con uno qualunque. Del resto sono persone che se ne infischiano di piacere agli uomini. Andare nel deserto per piacere a Dio non è cosa da tutti, è una vocazione riservata a un piccolo numero. Amare Dio d’un amore esclusivo e fare di tutto per piacergli, invece, è cosa che vale per tutti. Ogni cristiano, quale che sia la sua vocazione, dovrebbe vivere senza altro scrupolo che quello di piacere a Dio. Egli dovrebbe regolare la propria vita su una parola d’ordine: non voler piacere che per il meglio di sé, ossia quanto piace sia agli uomini sia a Dio.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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