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Il pane del perdono di Fra Cristoforo: solo la misericordia ci sfama

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Pane e Focolare - pubblicato il 07/05/20

Il perdono è il grande protagonista nelle pagine di Manzoni, quella forza che spezza la catena dell'odio e fa di gente semplice come Renzo e Lucia protagonisti di una storia di Redenzione.

Lo confesso, quando al ginnasio ho dovuto studiare I promessi sposi di Alessandro Manzoni, ho trovato quella lettura molto pesante. Tanto mi ha appassionato La Divina Commedia e tanto mi hanno annoiato le storie di Renzo e Lucia. Molti anni dopo ho ripreso in mano il romanzo e rileggendo alcuni brani l’ho riscoperto e ho davvero capito il suo valore. Un capitolo in particolare mi ha commosso e gli dedico qualche riga nel mio blog, poiché il pane e la sua simbologia hanno un ruolo importante.


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“Il Padre Cristoforo non era sempre stato così, né sempre era stato Cristoforo”.

Il frate cappuccino, uno dei protagonisti del romanzo, si era convertito dopo un fatto drammatico. Riassumo brevemente la storia: il suo vero nome era Ludovico ed era figlio di un ricco mercante. “Sentiva un orrore spontaneo e sincero per le angherie e pei soprusi”, e il Manzoni ci racconta che si batteva a difesa dei più deboli. Ma questa sua indole lo metteva spesso nei pasticci, e infine accadde un fattaccio: per un banale diverbio sul diritto di passaggio in un vicolo, si trovò a duellare con un nobile arrogante. Il duello prende una piega drammatica allorché il maggiordomo di Ludovico, di nome Cristoforo, intervenuto in sua difesa, venne ucciso dal nobile. Ludovico, fuori di sé vedendo la morte del suo fedele servitore, uccise l’avversario e si rifugiò in un convento di cappuccini. Qui ebbe modo di meditare sull’orrore della vicenda e decise di abbracciare la vocazione religiosa alla quale già aveva pensato in passato. Prese il nome di Cristoforo in ricordo del servo, morto per difenderlo. Per avere pienamente la coscienza a posto, decise di andare nel palazzo del fratello del nobiluomo che aveva ucciso, per chiedere perdono. Per l’occasione, l’arrogante padrone di casa aveva invitato tutto il parentado, per mostrare pubblicamente il suo trionfo e l’umiliazione del frate. Ma Padre Cristoforo si presentò con un atteggiamento così umile ed espresse un così sincero pentimento che tutti ne restarono toccati. Il nobiluomo lo perdonò, abbracciandolo commosso, tra l’emozione e la pietà dei presenti.

Ma che cosa c’entra il pane con tutto questo, chiederete voi? Dopo la solenne riappacificazione, il nobile offrì cibi prelibati al frate cappuccino. Questi rifiutò il banchetto raffinato ma formulò una richiesta:

«Ma tolga il cielo che io rifiuti i suoi doni. Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io possa dire di aver goduto la sua carità, d’aver mangiato il suo pane, e tenuto un segno del suo perdono».
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Arrivò un maggiordomo con un pane su un vassoio d’argento, Padre Cristoforo lo mise nella sporta e se ne andò, quasi portato in trionfo. Più tardi,

egli mangiò con una specie di voluttà del pane del perdono: ma ne risparmiò un tozzo, e lo ripose nella sporta onde serbarlo come ricordo perpetuo.

Alla fine del romanzo si scopre che il frate ha conservato quel pezzo di pane per tutta la vita: Padre Cristoforo, mentre a Milano infuria la peste, incontra Renzo e Lucia nel lazzaretto e dona loro “una scatola di legno ordinario ma tornita e lustrata con una certa finezza cappuccinesca” dove è conservato quel pezzo di pane:

«Lo lascio a voi altri: serbatelo; fatelo vedere ai vostri figlioli. Verranno in un tristo mondo, in tristi tempi, in mezzo ai superbi e ai provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! Tutto, tutto! …» E porse la scatola a Lucia, da cui fu presa con riverenza, come si sarebbe fatto d’una reliquia.

Quanta forza ci vuole a perdonare, e quanta ce ne vuole ad avere l’umiltà di chiedere perdono. La misericordia è il vero miracolo dell’esistenza, l’unica forza in grado di arginare i mali del mondo. Non è un caso che un pezzo di pane sia il simbolo del perdono: cibo presente su tutte le tavole, su quella eucaristica è Corpo di Cristo, emblema del suo sacrificio, memoriale del dono fatto da Dio all’umanità, di quel perdono che porta alla salvezza, lavando nel sangue dell’Agnello i nostri peccati. “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, recita il Padre Nostro: è l’unica strada percorribile per arginare gli orrori della storia umana. Per fermare l’odio non serve altro odio, bisogna avere la forza di chiedere perdono e di perdonare. Fra’ Cristoforo conservava quel tozzo di pane, cibo povero e semplice, perché era un’icona del miracolo più grande: quello della misericordia che salva.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA PANE E FOCOLARE

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