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C’è spazio al giorno d’oggi per il distributismo di Chesterton?

CHESTERTON

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César Nebot - pubblicato il 03/11/20

Una teoria a metà tra il capitalismo e il socialismo, basata sulla Rerum Novarum di Papa Leone XIII

Fritz Schumacher sosteneva che non è possibile considerare l’economia senza un’etica di fondo. A suo avviso, la visione economica del capitalismo e quella del socialismo si sviluppavano nello stesso livello dell’essere, un livello materiale che pretendeva di fuggire da livelli dell’essere più profondi e che di conseguenza era una menzogna. Agli inizi del XX secolo, G.K. Chesterton e H. Belloc hanno proposto un’alternativa al capitalismo e al socialismo, il distributismo, che prendeva spunto dall’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII nella sua analisi della situazione sociale.

Oltre capitalismo e socialismo

Il capitalismo sostiene la proprietà privata dei mezzi di produzione, mentre il socialismo dà la priorità allo Stato a livello di proprietà dei mezzi. Nel comunismo, la proprietà privata scompare per essere accaparrata dallo Stato. Di conseguenza, in un sistema comunista, al contrario di quello capitalista, non si può concepire la libertà del mercato. La differenza fondamentale tra i due sistemi risiede quindi nella concezione prevalente.

La ragione comunista che possiederebbe lo Stato per assegnare le risorse a ciascuno in base alla lungimiranza delle sue élites in cui come conseguenza finale ci sarebbe una presunta libertà collettiva, o dall’altro lato la libertà individuale capitalista in cui l’insieme delle decisioni darebbe una successiva ragione di mercato all’assegnazione delle risorse, è quello che chiamiamo prezzo. Ad ogni modo, entrambi i sistemi dispongono di un elemento in comune. Nel comunismo non c’è libera concorrenza, libero accesso al mercato, perché non c’è mercato né libertà; nel capitalismo, la libera azione del mercato contempla anche l’eliminazione della libera concorrenza nella misura del potere che accumula il capitalista, perseguendo un potere di monopolio o oligopolio.




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Cos’è il distributismo

Nel distributismo non si nega la proprietà privata, ma partendo da questa si cercherebbe una distribuzione tale da garantire non solo la libertà d’azione nei mercati, ma anche il libero accesso. Evidentemente, al di là di criteri tecnici di efficienza, il distributismo richiede un’etica per stabilire una giustizia distributiva che a sua volta garantisca la libertà individuale.

I mercati funzionano meglio, sono più efficienti, quando si garantisce la libera concorrenza, il libero accesso. I poteri asimmetrici nelle forze del mercato danno luogo a perdite di efficienza. Il distributismo difenderebbe inoltre che questo libero accesso dalla proprietà distribuita sia una condizione rilevante per lo sviluppo del lavoro dignificante e creativo. L’esperienza della produzione in serie mediante catena di montaggio, come quella disegnata da Henry Ford, esprimeva in modo manifesto il lavoro alienante rispetto a quello dignificante. A questo bisognerebbe aggiungere che nella decisione individuale ogni persona dispone di incentivi sufficienti per il progresso del proprio benessere, non solo materiale, ma anche spirituale.

Tanti piccoli proprietari per garantire la libertà

Il distributismo sosterrebbe inoltre il principio in base al quale un’impresa piccola può fare quello che una più grande non riesce a fare. Ciò è problematico quando la crescita economica viene promossa da economie di scala, ovvero che la somma di due imprese produce più che se fossero separate. In questo senso, il distributismo è difficile da conciliare con la crescita economica moderna, che si stima nell’ordine del materiale dal punto di vista quantitativo. Agli inizi del XXI secolo, sono molte le teorie che indicano la crescita in qualità dei Paesi avanzati rispetto allo sviluppo in quantità. L’idea è che, raggiunto un certo punto, la decisione di consumo non riguarderebbe tanto il fatto di andare in molti ristoranti in un giorno, ma di andare in un ristorante di maggiore qualità nel quale si è disposti a pagare di più per il coperto. Si applichi questo ragionamento a molti dei servizi e dei prodotti della nostra cesta di consumo.

Dall’altro lato, l’altra dimensione del distributismo è collegata a quei beni e servizi che non possono essere forniti dall’iniziativa privata. In questo senso, per i beni pubblici come la difesa nazionale, la sicurezza sociale, ecc., si richiede lo Stato, ma sempre in forma sussidiaria e guidata dal principio di solidarietà

In sostanza, il distributismo di Chesterton indica che una distribuzione etica della proprietà privata che garantisce la libertà individuale di azione e accesso ai mercati, una dimensione esigua di produzione preferibile a una produzione di massa e criteri di solidarietà per fornire servizi pubblici e difesa del bene comune sono fondamentali per un’economia locale e umana in un mondo che avanza a livello globale.




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Ma ci sono dei limiti…

Mentre il mondo del XX secolo si dissanguava nella lotta ideologica tra due sistemi antagonisti come il capitalismo e il comunismo, il distributismo è sorto come risposta necessaria per superare la trappola materiale. Agli inizi del XXI secolo, la globalizzazione è avanzata man mano che si il capitalismo si consolidava come sistema vincitore della lotta del secolo precedente.

Sussiste però il dubbio sul fatto che ci sia spazio per lo sviluppo del distributismo ora che la pandemia influenza le relazioni commerciali internazionali e guadagna terreno la visione dell’economia locale in un mondo globale.

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