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6 mamme e papà che vivono la disabilità dei figli con la grazia della fede

COLLAGE, FAMIGLIE, DISABILITA'

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Annalisa Teggi - pubblicato il 14/10/21

Sentirsi impotenti e però abbracciare la fragilità. Guardare negli occhi un figlio disabile e scoprirsi preferiti da Dio. Ce lo hanno raccontato in questi anni famiglie piene di fatiche e ricche di gratitudine.

Perché il dolore? Se restasse astratta non ci sarebbe risposta accettabile a questa domanda. Se restasse astratta, avremmo tutti una scusa per scappare lontano da ciò che ferisce e ci pare ingiusto.

Spaventa tutti l’idea di avere un figlio disabile, perché fa crollare il muro delle nostre certezze tiepide e costringe a guardare in faccia l’ipotesi di una vita fragile, segnata da un dolore reale, piantato nella carne. E con quali armi si può affrontare una simile prova?

Disarmati, questa è la risposta che abbiamo ricevuto intervistando in questi anni famiglie che conoscono la disabilità per nome. Alessandro, Isabella, Michelino, Matteo, Benedetta, Marcello. Questi nomi sono volti e non solo sindromi gravi, sono presenze che spostano il tema della vita un passo oltre la frontiera della comfort zone.

E come si vive di là, nella terra della fragilità esposta, senza filtri leviganti e addolcenti? Vi proponiamo il racconto di chi lo vive, anticipandovi che il filo rosso che accomuna queste voci è la gratitudine di chi scopre di potersi abbandonare alle braccia di un Padre, che tutti ci tiene e non molla la presa.

1 CRISTIANO: MIO FIGLIO CI INSEGNA A SENTIRCI AMATI

Cristiano Guarnieri vive a Cremona con la sua famiglia, ha 3 figli in affido e uno naturale. Alessandro è affetto dalla nascita da encefalopatia multicistica con sindrome di West. Non parla, non vede, ha crisi epilettiche farmaco resistenti. Non è il figlio ‘speciale’ ma ‘preferito. Perché? Così lo racconta papà Cristiano:

Io imparo da lui ciò che serve davvero ogni giorno: sentirsi amati da qualcuno. Questa è l’unica vera condizione per reggere le fatiche e i sacrifici che a nessuno sono risparmiati.  […] Appartenere, ecco cosa serve. Alessandro vive perché appartiene a coloro che gli sono dati. E qui c’è un altro grande insegnamento: lasciarsi amare da chi ti è stato messo di fronte, non da chi decidi tu.

La fede di questa famiglia, ben lungi dall’essere l’analgesico che addormenta il dolore, è il braccio di un Padre che accompagna e sostiene:

Io sono un uomo fortunato. E la mia fortuna è cominciata col Battesimo, cioè con l’inizio della lotta di Cristo per conquistare tutto di me. Nella mia esperienza di papà, questo essere battezzato è decisivo. E’ in questo cammino che mi accorgo di essere il primo ad aver bisogno, di essere il primo ad aver peccato, di essere il primo che vuol sentirsi preferito.

2 FABRIZIA: DIO TIENE IL MONDO E I MIEI FIGLI

Fabrizia è sposata con Marcello e hanno due figli, Matteo ed Emmanuel. Entrambi hanno una malattia tanto rara che non ha nome, ma può essere definita encefalopatia epilettica. Il loro sviluppo è fermo a quello di un bimbo di 6 mesi, interagiscono agli stimoli ma non parlano e non riscono a stare seduti. L’impatto con la disabilità grave di entrambi i figli ha portato Fabrizia a un confronto serrato con Dio:

[…] Il buio è terribile, sei devastato. Subentra l’orgoglio, la tendenza naturale dell’uomo ad autocommiserarsi. Di base noi stiamo di fronte alla vita come se Dio ci dovesse qualcosa; anche io ci ho messo molto a capire che di mio non ho niente e tutto è un dono.

La discesa nel buio ha portato in dote a Fabrizia e suo marito una resa, un cedere alla presenza di un amore fragile ma bellissimo. Da vivere un giorno alla volta, fidandosi di un Dio che regge il mondo intero e il cuore di ciascuno. Impensabile dirlo in astratto o a priori, ma la storia di questa famiglia parla della gioia che solo gli sconfitti conoscono.

Puoi avere tutto l’amore del mondo, potresti avere anche tutti i soldi del mondo ma alla fine devi ammettere: io sono impotente. L’inizio della gioia è in questa sconfitta.

3 AGNESE E ANTONIO: 5 ANNI CHE CAMBIANO LA VITA

Questa famiglia di Catania ha amato un figlio che è vissuto 5 anni, pieni di dolore ma anche di

Agnese e Antonio scoprono la grave patologia di Michelino fin dalla prima ecografia: l’oloprosencefalia, una patologia cerebrale che nelle forme più gravi determina l’incompatibilità con la vita. L’opzione dell’aborto terapeutico non è neppure ventilata, perché fin da subito è chiaro che quella vita va custodita con fortezza:

Sapevo che Michelino poteva morire da un momento all’altro nella mia pancia, eppure questo non è accaduto, anzi, lui era vivacissimo, aveva una vitalità incredibile, lo sentivo muoversi e questo mi dava tanta fiducia, tanta speranza.

Dalla nascita alla morte di questo bimbo molto fragile trascorrono cinque anni di vita insieme, scanditi da un presenza che scardina i dati asciutti della scienza e cambia i cuori per sempre:

Quando un giorno mio marito rientrò dal lavoro, e io avevo il bambino in braccio: Michelino sentì la voce di suo padre, si girò e sorrise, a dispetto di quello che dice la scienza. Noi quel giorno non lo dimenticheremo mai.

4 MICHELA: DIO NON CI FREGA MAI, SORPRENDE

Michela e Nicola vivono a Udine e hanno attraversato l’esperienza dolorosa di aborti spontanei ripetuti. Anziché vivere questi lutti come un’obiezione alla vita, hanno lasciato aperta l’ipotesi che Dio offrisse loro una fecondità diversa.

Sulla loro strada si è posta un’occasione incredibile e un po’ folle: hanno adottato Marcello e Anna, due bimbi Down abbandonati in ospedale alla nascita. Racconta Michela:

Marcello è arrivato da noi in un momento per nulla casuale: dopo poco che era a casa nostra ho avuto la notizia che non avrei più potuto avere figli naturalmente perché il mio secondo aborto spontaneo mi aveva procurato un’infezione e la chiusura delle tube. La sua presenza ha addolcito la ferita, era segno che c’era un disegno di bene dentro la nostra storia.

L’accoglienza è una misura che siamo chiamati a scoprire di giorno in giorno, e rompe ogni schema di ansie, programmazioni stritolate e gioie facili.

Posso garantire che continuamente Dio ci dà delle certezze sul fatto che non ci frega. Io continuo a sperimentare che, se ci affidiamo al terzo elemento del nostro matrimonio (cioè dicendo a Dio: “Fai Tu!”), Lui stupisce sempre.

5 ALESSIA: IL MIRACOLO DI UNO SGUARDO NUOVO

Alessia e Daniele sono siciliani ma vivono a Verona. Fin dalle prime ecografie hanno scoperto che la loro prima figlia, Isabella, aveva una malformazione che lasciava presagire la sindrome di Down. Il viaggio per accogliere questa vita fragile non è stato facile. La disponibilità ad accogliere c’è, eppure il cuore e la testa scricchiolano di fronte al futuro, a ipotesi tristi, alla fatica.

Gli dicevo “Signore tu lo sai perché questo dolore, tu lo puoi trasformare. Dacci la gioia e il coraggio (dice piangendo, Ndr). Un senso ora non lo vedo, magari non lo vedrò ma tu fai tutto giusto.”

Isabella nasce e affronta fin da piccolissima due grossi interventi chirurgici. Intanto anche mamma e papà affrontano la salita di un cambiamento che trasforma lo sguardo e l’anima. La carezza di Dio non è toglierci le fatiche e i dolori, ma nello spalancare gli occhi a evidenze così enormi eppure invisibili ai nostri finché non molliamo la presa sulle nostre unità di misure ridotte. Ora mamma Alessia guarda la sua Isabella e dice:

 Davanti alla sua presenza così fragile e potente mi domando sempre: questi occhi non dovevano vedere la luce? Questo cuore non doveva battere? Questi occhi non dovevano esistere?

6 ELENA E ANDREA: LA FORZA DI CHI STA IN GINOCCHIO

Molti bambini con patologie gravi vengono abbandonati, e ci sono famiglie che vivono l’esperienza dell’affido come occasione per aprire la porta di casa a queste piccole vite fragili. Elena e Andrea sono sposati da 20 anni, hanno 3 figli naturali e – come un imprevisto provvidenziale – hanno accolto Benedetta.

Benedetta una bimba speciale, con poche e incerte aspettative di vita soffriva di anencefalia parziale e idrocefalia complessa. Paroloni difficili che possono spaventare. Benedetta non vedeva, non parlava, non camminava, mangiava attraverso un tubicino (la Peg), stava in posizione sdraiata per la caratteristica forma schiacciata della sua testa. Una bambina stupenda ai nostri occhi.

Benedetta ha vissuto in questa casa per 4 anni ed è stata un ricettacolo di vita proprio perché ha messo tutte le persone che l’hanno conosciuta di fronte al paradosso dell’impotenza.

La cosa più difficile è l’impotenza di fronte alla sofferenza, mamma mia quanto è dura da vivere, quanto male fa. Don Oreste Benzi diceva che per stare in piedi bisogna stare in ginocchio. Quanto è vero, per riuscire a stare sotto la croce, accanto alla sofferenza, bisogna stare in ginocchio. Ci sono volte che non riesci neppure a pregare, e allora sgrani il rosario che hai in tasca per ricordare che in Lui tutto si trasforma.

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