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Costa Concordia: fu la Chiesa per prima ad assistere i naufraghi

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Guardia di Finanza press office | FILIPPO MONTEFORTE via AFP

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 13/01/22

Il prete dell’Isola del Giglio ricorda quello che accadde la notte del 13 gennaio 2012

Furono accolti dal prete nella chiesa dell’Isola del Giglio: per i naufraghi della Costa Concordia, quella fu la prima e provvidenziale assistenza ricevuta in quella notte drammatica del 13 gennaio 2012. A distanza di nove anni lo ricordano il prete dell’Isola toscana e il cappellano di bordo della nave affondata. 

La strage della Costa Concordia

Sono le 21.45 di venerdì 13 gennaio 2012. La nave da crociera Costa Concordia, con a bordo 3.216 passeggeri e 1.013 membri dell’equipaggio, urta uno scoglio. L’impatto provoca una falla di circa 70 metri sul lato sinistro dello scafo. Si allagano velocemente vari compartimenti. In poco tempo anche il generatore diesel e il quadro elettrico principale vanno in tilt, provocando un blackout.

Costa Concordia

Il segnale di emergenza 

Seguono momenti di concitazione e di panico. I passeggeri vengono radunati nei punti di riunione. Alle 22:33 viene lanciato il segnale che indica l’emergenza generale. Poi, alle 22:54, dopo esplicita richiesta della Capitaneria di Livorno, viene ordinato l’abbandono della nave. Alle 00:32 il comandante della Costa Concordia riferisce alla Sala operativa di Livorno della presenza in mare di naufraghi. Infine, alle 00:42 un lato della nave è interamente sommerso. 

32 morti 

Muoiono 32 persone, tra le quali una bambina di cinque anni. Alcune persone scivolano nella zona allagata o nei vani ascensori perdendo la vita. Altre annegano dopo essersi tuffate o dopo essere cadute in mare. Gli abitanti dell’isola sono tra i primi a soccorrere i naufraghi (Vatican News, 13 gennaio).

Don Lorenzo e i 4300 passeggeri

Don Lorenzo Pasquotti, oggi 71enne e parroco all’Amiata, sempre in diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello, quella notte del 13 gennaio del 2012 era parroco a Giglio Porto e riavvolge il nastro di quanto accaduto nella chiesa di san Lorenzo e Mamiliano, a due passi dal porto: «Ho il ricordo di gente che si dava da fare in ogni modo, con quello che aveva, di fronte ad un’emergenza eccezionale per una piccola isola, mentre dalla nave Costa Concordia scendevano 4.300 persone».

La chiamata al vescovo

«Appena mi avvisarono – ricorda il sacerdote – chiamai il mio vescovo dell’epoca (Guglielmo Borghetti, oggi vescovo di Albenga-Imperia, ndr) non per chiedergli il permesso di aprire la chiesa ma solo per informarlo, però non rispondeva e più tardi ho saputo che era in riunione e aveva messo il silenzioso. Mi richiamò lui verso le 23, allarmato: ‘Don Lorenzo, ma cosa è successo? Perché mi chiami a quest’ora?’. Non sapeva ancora niente, era in auto e lo invitai a sintonizzarsi sulla radio. Poi mi rispose con parole che mi sono rimaste scolpite nella mente: ‘Fai quello che il tuo cuore ti dice, sappi che il tuo vescovo è con te’».

“Non mi sono messo la bandierina da prete”

Prosegue don Lorenzo: «Ecco, la chiesa era già piena di naufraghi e io in quel momento mi sono sentito dentro la maternità della Chiesa, dentro un’anima di Chiesa che interviene laddove c’è bisogno, dove c’è sofferenza, nell’essenza di condividere Gesù Cristo. Quella notte non mi sono messo la bandierina da prete, non sono stato lì a dire: guardate come sono bravo perché sono prete, ma l’ho fatto proprio con lo spirito e il cuore della Chiesa». 

«Ripenso alla mia vocazione adulta, arrivata dopo che sono passato attraverso tutte le vicende di un uomo normale, fidanzate comprese, e aver lavorato 10 anni come dipendente e anche in fabbrica: so cosa vuol dire la gente, i bisogni che si hanno. L’umanità è sempre stata molto presente nel mio essere prete, mai sopraffatta da quella spirituale, e quella notte è stata l’occasione per darle una bella lucidata» (Avvenire, 13 gennaio).

“Presi in braccio una bambina”

Il cappellano di bordo della Costa Concordia, don Raffaele Malena, ricorda a Vatican News, alcune fasi dell’evacuazione e l’ospitalità ricevuta dalla chiesa e dagli abitanti dell’isola.

«Il cappellano dove è chiamato deve correre. Li ho incoraggiati… C’erano tanti bambini, una bambina me la sono presa in braccio, ho chiamato la mamma e ho detto di mandarla subito nella scialuppa e la mamma l’hanno fatta evacuare per prima. Sono momenti di panico e di paura per i passeggeri. Poi, devo ringraziare molto il parroco del Giglio, che ha aperto subito la chiesa. Questa è un’isola di mille e 200 persone in estate e 700 in inverno. Tutti volevano dare una mano. Hanno aperto gli alberghi, ci hanno dato da mangiare, ci hanno dato coperte e tutto quello che avevano ce lo davano. Agli abitanti dell’Isola del Giglio dovremmo fare un monumento… Non ci hanno abbandonati!». 

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