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Chiesa e abusi: l’attacco finale a Ratzinger

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Getty Images

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 21/01/22

Il 20 gennaio 2022 lo studio legale Westpfahl Spilker Wastl ha pubblicato il report sugli abusi a München-Freising (1945-2019). L'attenzione mediatica è stata massimamente concentrata sul futuro Papa Benedetto XVI, che dal 1977 al 1982 era stato Ordinario del Luogo: poche le notizie, molte le speculazioni.

Tutti scrivono di Ratzinger arcivescovo di Monaco, in queste ore, e la (rinnovata) passione per l’argomento ricorda quella di certi giuristi romani per le XII tavole: «Tutti vogliono scriverne – sorrideva sornione un vecchio professore di romanistica – proprio perché non ce n’è giunto il testo». 

La libido di scrivere del già noto e dell’ancora ignoto

Si parla dunque perlopiù di cose note a tutti (in larga misura proprio grazie a Benedetto XVI) oppure a tutti ignote, e se ci si rivolge esclusivamente a chi ha materiale sotto mano, ci si deve arrendere all’assenza di prove oggettivamente inconfutabili: Ulrich Wastl, Marion Westpfahl e Martin Pusch avevano mandato, da parte dell’attuale arcivescovo di München, il cardinale Reinhard Marx, di indagare su casi di abusi in diocesi tra il 1945 e il 2019. Ne sono risultate mille e più pagine di rapporto, consegnate ufficialmente solo ieri, 20 gennaio 2022. È giunta rapida, nel pomeriggio, la dichiarazione del segretario particolare del Papa Emerito, l’arcivescovo Georg Gänswein: 

Benedetto XVI fino a oggi pomeriggio non ha conosciuto il rapporto, che ha più di mille pagine. Nei prossimi giorni esaminerà con la necessaria attenzione il testo. Il Papa emerito, come ha già più volte ripetuto durante gli anni del suo pontificato, esprime il turbamento e la vergogna per gli abusi sui minori commessi dai chierici, e manifesta la sua personale vicinanza e la sua preghiera per tutte le vittime, alcune delle quali ha incontrato in occasione dei suoi viaggi apostolici.

Questi sono dunque giorni di studio e di riflessione, da parte degli ecclesiastici più direttamente coinvolti per le loro responsabilità, attuali e/o remote, al punto che la Diocesi stessa di München-Freising ha annunciato che commenterà il rapporto in una conferenza stampa il 27 del mese, ossia a una settimana dalla notifica. Fino ad allora imperversa e imperverserà il circo mediatico, che canterà con i più disparati arrangiamenti (e fatte salve poche eccezioni) una sola stessa canzone, ossia la carica a Ratzinger – sono state troppe quelle che lui, da parte sua, ha cantato in controcanto rispetto al belato globale. 

Se “la notizia” delle prime pagine è “Ratzinger fu omertoso”, si deve tener presente: 

  • anzitutto che il rapporto sviluppa mille e più pagine sull’arco di 74 anni di storia ecclesiale ed ecclesiastica, non sui 5 dell’episcopato ratzingeriano; 
  • quindi che più di mille pagine per quasi cinquecento casi significa una media di un paio di pagine a caso; 
  • essendo cinque i casi contestati a Ratzinger Arcivescovo, essi dovrebbero sviluppare (in un approccio sereno e super partes) non molto più di una decina di pagine, ossia l’1% del volume totale delle pagine. 

È chiaro che queste cose non si valutano “a peso” né secondo altre unità di misura fisiche, ma davanti all’indisponibilità dei contenuti non ci resta che valutare i contenitori: tale valutazione porta già in sé considerazioni non trascurabili, perché induce a osservare che le ruggenti titolazioni su “l’omertà di Ratzinger” sono sostenute meno dai fatti che da orientamenti politici preconcetti. 

I quattro casi di Ratzinger… e il quinto

Venendo però un istante ai casi di pedofilia ed efebofilia contestati durante il quinquennio dell’episcopato ratzingeriano a München-Freising, la sorpresa (si fa per dire) è che neanche qui sembra trovarsi qualcosa di nuovo. Lo ha opportunamente segnalato, e non su una testata cattolica bensì sul Corriere dalla Sera di oggi (con un pezzo online già da ieri sera), Gian Guido Vecchi

Già noto è il caso di quello che nel rapporto viene chiamato «padre H.», ovvero Peter Hullermann, oggi 74 anni, che tra il 1973 e il 1996 ha abusato di almeno 23 ragazzi dagli 8 ai 16 anni.

Nel 1980 Hullermann fu inviato da Essen a Monaco con una diagnosi di «disturbo narcisistico di base con pedofilia ed esibizionismo» per seguire una psicoterapia. L’allora arcivescovo Ratzinger, in una riunione del 15 gennaio 1980, accolse la richiesta di trasferimento e alloggio.

Il caso è noto, la polemica scoppiò nel 2010 dopo un articolo pubblicati da Der Spiegel ed è stata ripresa nei giorni scorsi da Die Zeit.

Già nel 2010 la diocesi di Monaco replicò che la diocesi di Essen aveva disposto il trattamento di psicoterapia a Monaco e Ratzinger aveva dato il suo consenso al trasferimento ma non al suo ritorno all’attività pastorale; un mese più tardi però l’allora vicario generale Gerhard Gruber aveva dato Hullerman un incarico da assistente in una parrocchia, e questo senza che l’arcivescovo Ratzinger lo sapesse e contro ciò che aveva stabilito.

L’arcivescovo Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, aveva replicato a Die Zeit: «L’affermazione che egli fosse a conoscenza degli antefatti al momento dell’ammissione del padre H. è falsa. Di tali fatti precedenti non aveva alcuna conoscenza».

Benché già noto da 12 anni, quello di Peter Hullermann è stato presentato come “il caso X” tra i 

due casi riguardano reati commessi durante il mandato […] e tre casi reati commessi prima del suo mandato e in parte al di fuori del territorio dell’arcidiocesi.

Nel suo memoir difensivo (82 pagine) Benedetto XVI ha ricordato: 

[…] né io né i membri dell’assemblea dell’Ordinariato eravamo a conoscenza dei verbali della conversazione o delle attività dello psicoterapeuta (entrambi sono stati portati a conoscenza del Ordinariato arcivescovile di Monaco conosciuto solo a marzo o giugno 2010). 

Lo studio legale ha preso atto della versione di Ratzinger, allegando il documento al proprio lavoro, salvo definire “non credibile” la linea del Papa Emerito. Ratzinger dunque doveva sapere. E perché? Perché il futuro Papa aveva trascorso «almeno una parte delle sue vacanze (…) nel precedente luogo di lavoro del sacerdote». 

Dato il tenore dei nessi logici nelle inferenze, è comprensibile che Benedetto XVI, pur restando nel suo consueto aplomb accademico, abbia accusato i legali di essersi abbandonati alla «valutazione soggettiva, se non addirittura [a]lla propaganda e pura speculazione». 

Il tafazzismo come sintomo del malessere ecclesiale

Non sarebbe poi questa la prima volta che dello studio Westpfahl Spilker Wastl ci si è trovati a lamentare i pregiudizî metodologici: a quel medesimo studio era stata infatti affidata un’analoga indagine per la diocesi di Köln, salvo che il mandato era poi stato revocato per volontà dell’arcivescovo, il cardinale Rainer Maria Woelki (anche per via di “fughe di notizie” sui giornali). È vero che Woelki si è così esposto ad essere narrato e dipinto come il censore chiuso al rinnovamento (ed è così stato colpito perché membro importante della minoranza conservatrice nell’episcopato tedesco), ma è altrettanto vero che il più “aperturista” omologo bavarese, il card. Marx, ha declinato l’invito alla conferenza stampa di presentazione del rapporto da lui stesso commissionato (e che lo rimprovera, fra l’altro, per un paio di casi mal gestiti negli ultimi anni). 

Questo è un tema certamente non centrale, rispetto alla materia del contendere, ma pure fondamentale per la più ampia comprensione della crisi ecclesiastica in Germania: 

  1. come mai due tra le diocesi più antiche, grandi e potenti del Paese si sono rivolte proprio a uno studio che in entrambi i casi è stato poi sospettato di «un notevole grado di parzialità»? 
  2. perché la Chiesa in Germania sembra faticare, sia sotto governi conservatori sia sotto governi progressisti, ad individuare collaboratori che l’aiutino nella propria necessaria riforma assumendo seriamente un «ruolo di neutralità e obiettività»? 
  3. nella fattispecie, chi è stato – un giorno qualcuno dovrà pur porre con fermezza questa domanda – a suggerire alle diocesi tedesche il nome dello studio legale Westpfahl Spilker Wastl, e su quali basi (e/o con quali fini) lo ha fatto? 

Non si tratta di cercare analisi compiacenti: 

  • che la Chiesa abbia in questi abominevoli abusi (le cui cause restano in ultima analisi ancora da individuare con esattezza) un orribile cancro all’interno del proprio corpo mistico è fuori discussione; 
  • che essa possa giovarsi, almeno in una fase diagnostica, delle competenze di professionisti (non necessariamente cattolici o cristiani o credenti) è pure pacificamente ammesso; 
  • che tali professionisti possano svolgere tale compito in mancanza di una disposizione equanime e non incline ad attacchi preconcetti è tutt’altro che ragionevole. 

Ancor prima che nell’analisi di questa o quella collaborazione, il dato inquietante sta proprio nella confusione che su queste (pure non controverse) considerazioni sembrerebbe regnare in certi episcopati. È comprensibile che la troppo protratta indolenza riguardo a tanti orrendi crimini venga come rigurgitata in conati di ansia di espiazione… ma non si dovrà cercare nella (neanche troppo dissimulata) Schadenfreude di certi partner un indizio propiziatorio di collaborazioni utili. Chissà se in tedesco c’è una parola per dire “tafazzismo”… 

Giustizia per Ratzinger 

In molti, mossi da comprensibile affetto per Benedetto XVI, stanno in queste ore illustrando linee di apologia per il Papa Emerito: pur comprendendo e condividendo quello stato d’animo, noi qui vorremmo astenerci da questo esercizio. Anche sul Corriere, del resto, sono stati significativamente compendiati i meriti specifici del pontefice bavarese in questa lacrimosa materia: 

Quand’era prefetto dell’ex Sant’Uffizio aveva cercato di processare un criminale pedofilo come padre Macial Maciel Decollado, potente fondatore dei Legionari di Cristo, ma fu bloccato da una parte della Curia nel crepuscolo del pontificato di Wojtyla. Eletto Papa, è andato fino in fondo su Maciel e sul resto.

È stato il primo pontefice a chiedere «perdono» pubblicamente e in modo esplicito per la pedofilia nel clero, in piazza San Pietro, l’11 giugno 2010, davanti a quindicimila sacerdoti di tutto il mondo. Il 19 marzo 2010 aveva scritto una lettera storica ai cattolici irlandesi, con parola durissime contro i preti pedofili: «Dovrete rispondere davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti». Ha incontrato più volte le vittime di abusi.

E soprattutto, il 21 maggio 2010, ha firmato le nuove norme che hanno segnato il punto di non ritorno della Chiesa nella lotta agli abusi, l’inizio della trasparenza e della «tolleranza zero»: definiscono il reato di pedopornografia, la possibilità di procedere per «via extragiudiziale» nei casi più clamorosi, il potere del Papa di spretare direttamente i colpevoli quando le prove sono schiaccianti. 

Benedetto XVI ha allungato la prescrizione da 10 a 20 anni, a partire dal diciottesimo compleanno della vittima, il che ha permesso di punire anche i casi più remoti, spesso già prescritti dalle leggi secolari: negli anni successivi sono stati spretati centinaia di sacerdoti.

Quando i legali di cui sopra registrano agli atti “la versione di Ratzinger”, e la marchiano col secco bollino “non credibile”, hanno l’impressione di tenere il coltello dalla parte del manico, mentre è vero il contrario: non è “la sua parola contro la loro”, né “la sua parola contro i fatti” (se i fatti sono quella lacunosa congerie di illazioni che hanno esposto). Loro sono tre professionisti in carriera che redigono un lavoro dal potenziale politico esplosivo (e da profitti economici competenti); lui è un anziano bianco monaco che sa di poter esser convocato da un momento all’altro all’unico Giudizio veramente decisivo per chiunque. Chi sarà più interessato a confessare la nuda verità? 

BENEDYKT XVI
Ratzinger a Freising, fine novembre 1981

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