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Il perdono si può imparare e ci aiuta a guarire

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BenEssere - pubblicato il 02/02/22

Subire un'offesa è fonte di un dolore che spesso si protrae a lungo nel tempo. Il perdono è un atto creativo e rigenerativo che anche la scienza sta scoprendo nella sua potenza terapeutica.

risponde Francesco Vincelli
psicologo, psicoterapeuta, docente di psicoterapia Aiam

Caro dottore, i momenti in cui ho provato più sofferenza nella mia vita sono quelli in cui ho subito dei torti. Ho combattuto tra il senso di incredulità e la voglia di vendetta. In verità ammiro quelle persone capaci di offrire il perdono. Si tratta di un’abilità che può essere appresa?

VALENTINA F

Perdonare è cambiare

Cara Valentina, Mahatma Gandhi ha definito il perdono come la virtù dei forti. Effettivamente imparare a perdonare richiede dei cambiamenti mentali e comportamentali che esigono una significativa capacità di controllo, una elevata maturità di pensiero e una fiducia verso la possibilità di trarre insegnamento e forza
dalle situazioni che generano dolore.

La scienza studia il perdono

La ricerca psicologica ha iniziato a occuparsi scientificamente del tema del perdono, riuscendo a evidenziarne le potenzialità terapeutiche, soltanto negli ultimi trent’anni. Eppure nella pratica clinica incontriamo frequentemente persone che esprimono una significativa sofferenza causata da una incapacità o indisponibilità a concedere il perdono ad amici, conoscenti o congiunti dai quali hanno ricevuto un torto.

Il perdono è una delle reazioni possibili, insieme alla vendetta e alla fuga, in tutte quelle circostanze in cui abbiamo subito un’offesa.

Il perdono è controintuitivo

Le azioni che consideriamo offensive sono quelle che valutiamo come ingiuste, immorali, intenzionali e che generano in noi sofferenza e alterazione del benessere psicofisico.
A volte possiamo perdere il sonno, sperimentare ansia, abbassamento dell’autostima, depressione dell’umore e senso di impotenza a causa di comportamenti offensivi. Di fronte a tali sofferenze le risposte più frequenti sono la vendetta e la fuga.

Vendetta e fuga, strade senza uscita

Apparentemente rendere il torto sembra essere la modalità migliore per liberarsi della sofferenza emotiva, ma in verità la vendetta richiede un enorme dispendio di energie psichiche, alimenta la ruminazione mentale e produce emozioni negative e tossiche per la nostra salute.

È emblematica a tal proposito l’affermazione del Conte di Montecristo del famoso romanzo di Alexander Dumas, che dopo aver subito ingiustamente undici anni di carcere, una volta uscito decide di vendicarsi verso ognuno dei personaggi colpevoli della propria sofferenza: «Non sono felice, ogni punizione è ancora dolore».

Se la vendetta non crea sollievo, non è molto differente l’effetto della fuga: anche evitare di affrontare l’accaduto può generare passività, senso di inefficacia e sofferenza emotiva.

Solo il perdono ci libera

Agire a favore del perdono è certamente la strada migliore da perseguire per il benessere di sé e dell’altro.

Solo così la vittima si libera da una relazione con il colpevole del torto dominata da emozioni negative come l’odio e il rancore.

In ambito clinico utilizziamo programmi strutturati per l’apprendimento della capacità di perdonare, i cui passaggi fondamentali sono: ridefinire l’immagine dell’offensore assumendo il suo punto di vista e considerando la sua storia personale, realizzare di avere a propria volta avuto bisogno del perdono altrui nel passato, essere consapevoli del sollievo emotivo generato dal perdono.

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