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Il trauma degli orfani ucraini in fuga e le adozioni interrotte da ricucire

UKRAINE, CHILD, REFUGEE

Gabriel Preda RO | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 11/03/22

Uno dei colpi più micidiali della guerra s'infila lì dove ci sono ferite aperte e non rimarginate. Sono migliaia gli orfani in Ucraina, fuggono verso destinazioni incerte e altri vedono sospesa un'adozione già sicura.

I bambini orfani in Ucraina sono circa 100mila e vivevano, prima della guerra, in 600 istituti sparsi in tutto il paese. Le loro storie cominciano da una ferita non rimarginata (il legame spezzato con madre e padre) e oggi devono attraversare il dramma della fuga e della sopravvivenza.

Non si possono tenere in mano i fili di una trama che cede e si sgretola in tutti i punti. Assistiamo attoniti e sconcertati al calvario di famiglie in fuga dall’Ucraina. Ma chi si cura di chi non ha una famiglia? E che ne sarà delle adozioni internazionali già avviate ma sospese a causa della guerra?

Possiamo rispondere solo con piccole testimonianze in mezzo al caos.

Orfano in Ucraina non significa “senza genitori”

Partiamo dalla voce di una testimone, dunque. Parla chi ha visto arrivare in un hub polacco organizzato dal governo e dalla Caritas i primi gruppi di orfani arrivati dall’Ucraina.

“Sono stanchissimi e sono sottoposti ad un doppio trauma, quello dell’abbandono e quello della guerra – racconta Ewa Tetianiec. […] Ancora Ewa: “La cosa bella è che si supportano a vicenda. Quelli più grandi abbracciano i più piccoli. Ma in realtà questi ultimi sono quelli che stanno meglio, perché non capiscono. Quelli più grandi sono molto nervosi. È una situazione dura e difficile”.

Da Il Riformista
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La realtà sposta lo sguardo in una direzione inattesa. C’è una cosabella – e non l’avremmo proprio detto. Si diventa l’uno la famiglia dell’altro: questo piccolo pertugio che si spalanca conferma che non siamo fatti per essere individui, ma compagni.

Che storia avrà ciascuno di questi giovanissimi che si fanno famiglia l’uno dell’altro? C’è un nota bene da fare per capire la situazione reale di questi orfani, perché non sono sempre e solo bambini a cui mancano i genitori.

Lo ha spiegato la professoressa di pedagogia Paola Milani a Vita.it:

Una parte sono sicuramente orfani, ma non tutti. Quindi la prima cosa da tenere a mente è che non è scontato che siano minori adottabili. Vivere in un orfanotrofio non equivale ad essere orfani: questi bambini possono avere un genitore vivente o anche entrambi, ma questi genitori non sono in grado di accudirli con regolarità e quindi li hanno affidati a un orfanotrofio.

In questo caso però è molto probabile che una relazione con i genitori ci sia. Teniamo presente che in molti paesi dell’Est europeo non esiste o non è diffuso l’affido familiare, quindi per una famiglia in difficoltà nella cura dei figli la risposta è l’orfanotrofio, un po’ come da noi 50 anni fa quando le famiglie mettevano i figli in collegio o in un istituto.

Da Vita.it

L’orizzonte delle adozioni internazionali, già complesso, deve tenere conto anche di questo tassello. Non si può semplicemente pensare a una famiglia straniera che accolga il bambino, in tanti casi occorre trovare il modo di non recidere il legame con genitori esistenti e lontani geograficamente (essendo la famiglia adottiva quasi sempre straniera).

Corridoi umanitari per i minori orfani

Che il tema degli orfani e delle adozioni internazionali fosse fin da subito un’urgenza tra le urgenze risulta chiaro dal fatto che, tre giorni dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, è uscita una nota congiunta del ministro Elena Bonetti, che è anche presidente della Commissione per le adozioni internazionali, e del ministro Luigi Di Maio.

La situazione di grave precarietà dei minori orfani in Ucraina a seguito dell’aggressione russa suscita preoccupazione e richiede di attivare con sollecitudine tutte le misure a loro tutela previste dagli accordi internazionali. Nella cornice dei rapporti già in essere in materia di adozioni internazionali tra l’Italia e l’Ucraina, siamo impegnati in queste ore nell’attivazione di corridoi speciali per i minori orfani, perché al più presto ed in sicurezza possano raggiungere il nostro Paese. L’Ambasciata italiana in Ucraina è al lavoro per creare le condizioni delle partenze, mentre in Italia la Commissione per le Adozioni Internazionali si sta attivando per predisporre la prima accoglienza, per la quale ha già offerto collaborazione l’Istituto degli Innocenti di Firenze.

Da Sir

Passando dai comunicati ufficiali a chi si è trovato confuso e inerte nel mezzo di un disastro, si entra nel vivo di una doppia lacerazione. Adottare significa armarsi della pazienza di cucire giorno per giorno un rapporto in cui l’amore è l’orizzonte ultimo, ma bisogna sudarselo in una conoscenza reciproca non facile. L’iter per l’adozione di un bambino ucraino era già complicato prima del conflitto, prevedeva una successione di viaggi e passaggi burocratici impegnativa. E si può vagamente intuire che la trafila spossante non sia alleata della costruzione di un rapporto tra genitori e figli adottivi. Eppure più di cento famiglie italiane stavano percorrendo questa via. Ecco cosa testimonia sulla situazione presente chi le conosce da vicino:

“Alcune coppie avevano già conosciuto i bambini, l’adozione in Ucraina prevede tre viaggi” spiega Gianfranco Arnoletti, presidente del “Cifa” di Torino, “avrebbero dovuto completare nei prossimi mesi le adozioni, ora tutto è incerto, anche perché con la guerra si è fermata naturalmente la macchina della giustizia, le udienze, le sentenze. Da un punto di vista emotivo per i genitori è durissima, come per i piccoli che sono rimasti nelle zone di guerra”.

Da Il Riformista

Quello che si tentava di ricucire – un’ipotesi di famiglia – è stato strappato di nuovo. Con tutte le incertezze che ne derivano. Si sa che sono 23 i minori ucraini già abbinati a famiglie italiane per essere adottati, ma dove sono ora? Se sono stati spostati fuori dal confine ucraino, a chi sono stati affidati? Tenere traccia dello spostamento di questi minori orfani è una priorità, sono tutti d’accordo. Ma si profilano molti interrogativi e incubi all’orizzonte pensando all’incolumità di questi piccoli.

UKRAINE, WAR, CHILD

Fughe e rientri in famiglia

Per non essere preda di pessimi pensieri astratti, vale la pena guardare a chi opera già da tempo sul campo e si è adoperato senza cedere alla disperazione anche nelle circostanze attuali.Ai.Bi. – Amici dei Bambiniè un’associazione che opera da anni in Ucraina e in Moldova. Sul loro sito è possibile leggere una storia tra le tante, quella dell’evacuazione dell’orfanotrofio di Volodarka a 140 km da Kiev. Qui c’erano bambini assistiti anche grazie ai piani di adozione a distanza in Italia.

La maggior parte dei bambini, laddove possibile, è rientrata in famiglia, anche in quelle “allargate” ai parenti più stretti, ma 16 orfani sono rimasti nell’Istituto, sotto la responsabilità del direttore. Il personale, in costante contatto con Masha, Direttore di Drusie Ditiei Ukraina (Amici dei Bambini Ucraina), che è rimasta in Ucraina nonostante il pericolo, ha prontamente collaborato con il personale dell’istituto per lo spostamento dei bambini, in un primo momento ospitati in un Istituto nei pressi di Leopoli. Successivamente, per garantire la loro sicurezza, i bambini sono stati messi in salvo in Polonia, in una struttura molto simile a quella di Volodarka. Lì, gli orfani potranno trovare un po’ di pace e tutta l’assistenza necessaria.

Da Aibi.it

E’ una piccola testimonianza che però ci segnala dei dettagli significativi. Primo: in alcuni casi, la guerra ha comportato per questi bambini un ricongiungimento con la famiglia di origine. Paradossale e commovente. Secondo: il sacrificio di persone che mettono a rischio la propria vita rimanendo sul campo.

Sullo stesso furgone

Ciascuno di noi, ascoltando e leggendo molto in questi giorni, sentirà storie che arrivano dalle frontiere che sono al collasso nell’accoglienza di milioni di profughi. Tra le molte incrociate, una mi ha colpito perché il suo dato di realtà nudo e crudo fa piazza pulita di tanti nostri giudizi e pre-giudizi. Ucraina, lo sappiamo, è anche sinonimo di eccellenza nella maternità surrogata. E nel trattare giornalisticamente questo scandalo spesso lo abbiamo isolato, puntando il dito.

Nell’emergenza impazzita della guerra accade che si trovino su uno stesso furgone famiglie italiane che erano in Ucraina per ritirare il loro prodotto-figlio surrogato e altre che erano lì alla fine del lungo percorso di adozione internazionale.

“La nostra piccola è raffreddata, noi disidratati e stremati, ma stiamo bene, ospiti dei Salesiani in Moldavia. E’ stato terribile ma ce l’abbiamo fatta”.  Sono queste le prime parole, affidate all’avvocato Giorgio Muccio, di una delle dieci coppie italiane che si trovavano in Ucraina per conoscere e diventare genitori di bambini nati con la maternità surrogata.  Con loro anche una coppia di Milano che era a Kiev con la figlia di nove anni appena adottata, tutti messi in salvo dall’ambasciatore Zazo prima nel bunker della nostra ambasciata, poi con la fuga su due pullman con altri settanta italiani.

Un viaggio con i neonati stretti tra le braccia, le scorte di latte in polvere nel bagagliaio, la paura e il silenzio interrotto soltanto dal pianto dei bambini. “I giorni nei sotterranei dell’ambasciata sono stati durissimi, eravamo senza notizie, ci sentivamo smarriti, avevamo bisogno di latte in polvere, di medicine. Poi siamo stati accolti e aiutati”.

Da La Repubblica

Che l’approdo di questa odissea – e ce ne saranno state infinite altre – sia stata l’ospitalità salesiana fa nascere una riflessione. Ciascuno formula ipotesi di vita e felicità che sul banco delle mera discussione ci vedono su fronti opposti, la surrogata e l’adozione sono mondi lontanissimi. Ripeteremo sempre che un figlio non è un oggetto. Eppure che accade quando si è su uno stesso furgone in fuga dall’incubo della morte? Cosa si condivide lì, tra figli che piangono, fame e paure? Senza astrazioni, si sarà messo a tema di quelle ore di viaggio l’impotenza e la fragilità, la vita come un bene da custodire. E la porta che si è spalancata ai viaggiatori di questo strano furgone è stata quella di chi segue le orme di Don Bosco.

In mezzo alle macerie tanti busseranno a casa nostra, ci chiederanno non ragionamenti ma testimonianza del nostro essere alleati della vita senza esserne padroni.

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