La considera una montagna che alla fine è riuscita a scalare. Ci ha messo 6 anni a trovare un dottore che accettasse di operarla . Dopo la maggiore età ha cominciato a cercare medici che accettassero di procedere chirurgicamente a renderla sterile. È stata ascoltata, hanno tentato di dissuaderla, le è stato proposto un percorso di terapia psicologica. Tutto ciò, e forse è stato un tentativo di cura della persona monco del tassello fondamentale (un’ipotesi sul valore della persona nella sua completezza e unicità), è stato percepito da Abby come ostilità all’ascolto di ciò che per lei era così chiaro fin dalla più tenera età:
E allora scompare il tema della maternità, e si guadagna la scena l’ipotesi della macchina riproduttiva. Nota bene: il punto qui non è contestare a una donna di non avere la vocazione a diventare madre. Il punto dolente è uno sguardo frammentato che riduce il corpo di una persona “a pezzi” . Si toglie ciò che non serve .
(Per contrasto viene da pensare a che sguardo intero sulla persona ci sia, invece, nella testimonianza silenziosa di tantissime suore che, pur non avendo una vocazione alla maternità, custodiscono integro un corpo la cui conformazione rimane predisposta ad accogliere la vita).
Avere un figlio richiede troppa responsabilità, i contraccettivi le fanno paura In un altro video la 25 enne ha spiegato i motivi per cui ha voluto diventare sterile, dicendo che non vuole diventare madre perché non vuole essere ‘responsabile dell’integrazione di un altro essere umano nella società allo scopo di essere qualcosa di interamente separato da lei’. E ‘richiede molta responsabilità che non voglio”, ha aggiunto.
Ibid. Confusione, dicevo all’inizio. E non è un’accusa, è riconoscere gli effetti di una frantumazione umana in corso, che miete vittime proprio insinuando l’idea che si è padroni delle proprie scelte. Qual è la vera obiezione alla maternità? Dedicarsi a un soggetto che poi sarà completamente autonomo, cioé investire tempo e cura per qualcuno che ‘non sono io’? O è l’eccesso di responsabilità a spaventare?
Le risposta articolata di Abby mette in campo elementi in collisione tra loro. Vuole pensare solo a sé o teme di non essere all’altezza della cura di un figlio? L’unico punto di intersezione di queste due ipotesi è la paura. La paura di perdere se stessi dedicandosi a un altro, la paura delle responsabilità. Può il timore essere il movente a cui radicare un’ipotesi di vita?
E la confusione non finisce qui.
Abby, che è crescitua in un contesto religioso, ha affermato che gli strumenti di controllo delle nascite non le vanno a genio e una grossa paura di avere oggetti estranei nel corpo le impedisce di valutare l’ipotesi della spirale. […] Ha anche aggiunto che i preservativi non sono efficaci al 100% e questo la riempie di spavento quando fa sesso. Così ha deciso di farsi sterilizzare.
Ibid. Shutterstock|Di Zhuravlev Andrey
Curioso che, non andandole a genio gli strumenti di controllo delle nascite , non consideri tale la sterilizzazione. Ma il segnale prevalente è ancora l’onnipresente spavento .
E non c’è niente di più amaro che sentire una voce giovane che ripete la sua paura proprio nei confronti del tema della vita. Questi squarci – eccezionali, è vero – di realtà mostrano una scena umana davvero sterile.
Dolore mestruale e cancro alle ovaie Abby ha spiegato su TikTok di soffrire di cicli mestruali molto dolorosi, ritiene di essere affetta da PCOS, un disordine ormonale che causa un ingrossamento delle ovaie e la presenza di cisti. […] Ha anche una storia familiare di cancro alle ovaie, con una nonna morta anni fa a causa di questo tumore.
Ibid. A corredo della narrazione su di sé, Abby aggiunge anche questo quadro clinico che rende – ai suoi occhi – la sterilizzazione come la perfetta quadratura del cerchio. Oltre a essere ‘una scelta giusta’ per il proprio stile di vita è anche curativa delle sue patologie e preventiva rispetto allo spettro del cancro.
Questa sovrabbondanza di spiegazioni e giustificazioni mi pare una spia luminosa. Quasi un sovraccarico di energia per convincersi della bontà della sua decisione. Ha fatto una scelta da cui non si torna indietro, molti medici – in quei 6 anni di rifiuti a operarla – le hanno detto che non era un intervento necessario.
Non tutte le donne hanno la vocazione alla maternità, verissimo. Ma qui l’impressione è che manchi proprio una riflessione sulla propria vocazione (il discernimento di un’ipotesi di vita a cui dire sì). Fondare il proprio cammino sulla pars destruens è pericoloso, fare passi in avanti in base a ciò che non si vuole è perdere , in tutti i sensi. Perdersi, anche.
Abby ha perso una parte di sé, e ne è fiera. E quello che rattrista e lascia attoniti è proprio questa gioia apparente che esulta della conquista di essersi liberata di una parte di sè. E cosa farai domani, Abby, quando un’altra parte di te ti farà male o ti procurerà disagio e preoccupazioni?
O siamo amati in principio da un Padre che non vuol perdere nessuno dei nostri capelli o andiamo letteralmente a pezzi.
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