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Il nostro primo figlio ha salvato il nostro matrimonio

COPPIA CON NEONATO

Ternavskaia Olga Alibec|Shuttetstock

Orfa Astorga - pubblicato il 26/01/23

Cos'è accaduto a una coppia che aveva deciso di rimandare la nascita del primo figlio

Quando ci siamo sposati, mia moglie ed io abbiamo pensato di rimandare la nascita del primo figlio, ritenendo che avrebbe fatto parte di una pianificazione intelligente per avere più tempo per risparmiare e godersi la vita.

Altre coppie giovani di amici la pensavano allo stesso modo e ne parlavamo nei nostri incontri, cosa che ci faceva sentire maturi e adeguati ai nuovi tempi.

Quello che è accaduto è che mia moglie ed io, senza saperlo, siamo diventati complici di qualcosa che impediva che superassimo l’“io” e il “tu”, e quindi non riuscivamo a raggiungere la terza dimensione dell’amore, il “noi” prodotto della nostra unione. Doveva essere così, perché adottando quell’atteggiamento pragmatico come coppia, presto ciascuno si è chiuso nel proprio egoismo personale.

E abbiamo iniziato a generare conflitti per quello che ciascuno apportava, come se il matrimonio fosse una società mercantile, in cui eravamo azionisti gelosi che si guardavano solo considerando il beneficio reciproco.

Ovviamente questo ci impediva di vederci l’un l’altro come un bene in sé, e faceva sì che il nostro amore coniugale non crescesse e si proiettasse verso gli altri. Non era necessario che qualcuno ce lo dicesse, lo sapevamo, visto che sentivamo un vuoto nel cuore che non volevamo riconoscere.

Anziché un figlio…

Stando così le cose, non vedevamo il motivo di mettere al mondo un figlio e abbiamo deciso di adottare un cagnolino, che viziavamo in modo eccessivo, come per sfogare la nostra necessità di dare affetto, anche a qualcosa e non a qualcuno.

Ed è arrivato il momento in cui abbiamo pensato di separarci, senza dirci quello che volevamo davvero.

Poi è accaduto che mia moglie, contro ogni previsione, è rimasta incinta. Ci ha sconcertato davvero, considerando che la nostra intimità non era unitiva e non era stata aperta alla vita. Ma è successo.

Nostro figlio è nato, e ha fatto sì che mia moglie ed io uscissimo dal circolo maligno del nostro egloismo, concentrando la nostra attenzione e le nostre emozioni su di lui, in mille modi.

Non parlavamo più del mio e del tuo, ma di pannolini, latte, giochi e dei tratti e delle caratteristiche di nostro figli, che vedevamo come la concretizzazione di un amore coniugale di cui eravamo arrivati a dubitare.

Scoprirsi come vera coppia

In questo modo ci siamo potuti guardare con un amore in cui potevamo essere davvero l’uno per l’altra. La presenza reale di nostro figlio lo confermava.

E abbiamo iniziato a rendere partecipi gli altri della gioia che provavamo, perché il nostro amore si era liberato dalle sue chiusure per esprimersi.

Mia moglie ed io sbagliavamo. Un figlio è un dono e non un diritto, per cui non viene al mondo solo per calcolo, ma come un regalo di Dio, che noi genitori dobbiamo solo accettare con gratitudine.

Nostro figlio è diventato il nostro bene più grande, perché la fecondità non si è ridotta alla procreazione, ma ci ha impegnati in un amore incondizionato e nell’educazione di una persona unica e irripetibile, il che ha richiesto da noi virtù che ci hanno resi persone migliori, e che in altri modi non avremmo raggiunto.

Per questo, saremo responsabilmente aperti alla vita, perché ora abbiamo la capacità di amare e di essere felici.

Quando un figlio è desiderato e accettato come un dono, nel sublime mistero dell’amore, dà moltissimo, perché è fonte di comunione e di unione tra i genitori.

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