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La virtù della speranza, esperienza di eternità

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Jean-François Thomas s.J. - pubblicato il 23/08/19

La speranza che non delude mai può radicarsi in Dio soltanto. Essa ci ancora nell’eternità e ci dona quel che da soli non potremmo ottenere.

La fede è un dono esteriore proveniente dallo Spirito Santo, laddove la speranza ha per caratteristica lo sgorgare dall’interno dell’anima. La spiegazione che ne offre Charles Péguy ne Il portico del Mistero della seconda virtù è celebre:

La fede che preferisco – dice Dio – è la speranza. […] Quel che mi stupisce – dice Dio – è la speranza. E non ne vengo a capo. La speranza è una bimbetta da niente, venuta al mondo il giorno di Natale dell’anno scorso. È questa bambina alta un soldo di cacio. E da sola, portando le altre, ha attraversato mondi rivoltati.

La speranza non va da sé

La fede va da sé. La carità va sfortunatamente da sé. Ma la speranza non va da sé. La speranza non procede da sola. Per sperare, figlio mio, bisogna essere felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia. La Fede vede ciò che è. La Carità ama ciò che è. La Speranza vede quel che non è ancora e che sarà. Essa ama quel che non è ancora e che sarà. Sulla strada erta, sdrucciolevole, malandata. Sulla strada inerpicata. Trascinata, appesa alle braccia delle sorelle maggiori che la tengono per mano, la piccola speranza avanza.


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Questa virtù teologale è dunque tutta protesa verso i beni a venire, verso l’eternità.Essa comincia a gustare quel che non possiede ancora ma che le è promesso. In questo essa non può essere sradicata, contrariamente alle fragili speranze che si applicano a realtà transitorie. San Paolo scrive ai Romani, a proposito di Abramo, che il patriarca ha sperato contro ogni speranza, e che questa è la marca di una fede viva.

La preghiera dell’apostolo della speranza

San Claude de la Colombière, direttore spirituale di santa Marguerite-Marie Alacoque, è per eccellenza l’apostolo della speranza, forse perché è pure quello del Sacro Cuore, il quale ci promette la sua misericordia e una piena comunione con lui. Questa preghiera, da lui redatta, è particolarmente mirabile. Restituirla nella sua integralità è utile perché può aiutare – e quanto! – a lottare contro tutte le tentazioni e a sormontare quegli abbandoni nell’accidia che generalmente provengono da una mancanza o da un indebolimento della Speranza:

Mio Dio, sono così persuaso che Voi vegliate su quanti sperano in Voi, e che non si può mancare di nulla quando da Voi si attendono tutte le cose, che ho deciso di vivere per l’avvenire senza alcuna preoccupazione, e di scaricare su Voi tutte le mie inquietudini: «Per me, mio Dio, dormirò e riposerò nella pace che trovo in Voi; perché Voi, Signore, mi avete reso saldo in una maniera così singolare, nella Speranza che ho della Vostra divina bontà [Sal 4, 9-10]. Gli uomini possono spogliarmi e dei beni e dell’onore; le malattie possono togliermi le forze e i mezzi di servirVi; posso anche, mediante il peccato, perdere la Vostra grazia; mai però perderò la mia speranza, la conserverò fino all’ultimo istante della mia vita, e tutti i demonî dell’inferno faranno allora vani sforzi per estirparmela via: «Per me, mio Dio, dormirò e riposerò nella pace che trovo in Voi…»

Alcuni possono attendere la loro felicità dalle ricchezze o dai talenti; altri confidare sull’innocenza della propria vita, o sul rigore delle loro penitenze, o sulla quantità delle loro elemosine, o sul fervore delle loro preghiere: «Poiché Voi, Signore, mi avete reso saldo in una maniera così singolare, nella Speranza che ho della vostra divina bontà…»

Per me, Signore, tutta la mia fiducia è la mia fiducia stessa; questa fiducia non ha mai tradito chicchessia: «Sappiate che mai qualcuno che abbia sperato nel Signore è stato confuso nella sua speranza» (Eccl 2, 11).

Mi è quindi stato assicurato che sarò eternamente felice perché spero fermamente di esserlo, ed è da Voi, mio Dio, che lo spero: «È in Voi, Signore, che ho sperato: che io non sia confuso per sempre» (Sal 30, 2).

Lo so, ahimè!: so fin troppo quanto sono fragile e volubile; so quanto possano le tentazioni contro le virtù meglio affermate; ho visto cadere le stelle dal cielo e le colonne del firmamento, ma tutto questo non può spaventarmi: fintanto che spererò mi terrò al riparo da tutti i mali, e sono stato reso certo di sperare sempre, perché ho sperato ancora questa immutabile speranza. E poi sono sicuro di non poter sperare “troppo” in Voi, e che non posso avere meno di quanto da Voi ho sperato. Così, io spero che Voi mi sosterrete nelle mie tentazioni più violente, che Voi farete trionfare la mia debolezza sui miei più formidabili nemici; spero che Voi mi amerete sempre e che io pure Vi amerò senza sosta; e per spingere di colpo la mia speranza tanto lontano quanto può arrivare, io Vi spero – Voi stesso per Voi stesso, o mio Creatore, per il tempo e per l’eternità. E così sia.


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L’esperienza dell’eternità

Profondità mistica della virtù della speranza, che raddoppia il proprio oggetto sperando la speranza stessa. Con un tale maestro spirituale, siamo certi di essere in buone mani per meglio conoscere questa la virtù teologale che, come la fede, passerà, ma che c’introduce nell’esperienza attuale dell’eternità. Nell’Epistola agli Ebrei si ricorda ai fedeli che la loro consolazione proviene dalla ricerca e dall’acquisizione dei beni che sono proposti mediante la speranza, «la quale serve alla nostra anima come un’ancora ferma e assicurata» (6, 19). Ecco perché questa virtù è tradizionalmente rappresentata con un ancora come attributo, negli affreschi delle catacombe romane, perché la beata speranza del cristiano è di raggiungere la vita eterna per la quale le prime generazioni di battezzati hanno versato il sangue. Si tratta dell’«elmo della speranza di salvezza» di cui parla san Paolo nella sua prima Lettera ai Tessalonicesi (5, 8). Il segno della sua viva presenza è che essa procura la gioia, laddove la sua assenza provoca una irresolubile tristezza. Essa permette, come sottolinea la Lettera ai Romani (12, 12), di tenere duro in mezzo ai mali e alle tribolazioni.


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Attendere Dio stesso

Molto spesso riduciamo la speranza a una forza che ci permette semplicemente di tenere duro, di fare buon viso a cattivo gioco. Il uso oggetto è invece la felicità eterna, la comunione con Dio. Essa ci trasporta oltre il velo, per riprendere un’altra immagine paolina applicata alla beatitudine celeste. Questa volta, è lei che ci prender epe mano per condurci laddove esitiamo o dubitiamo. Nella sua enciclica sulla speranza, Spe Salvi, Papa Benedetto XVI scriveva così:

La vera, grande speranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio – il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora « sino alla fine », « fino al pieno compimento » (cfr Gv 13,1 e 19,30). Chi viene toccato dall’amore comincia a intuire che cosa propriamente sarebbe « vita ». Comincia a intuire che cosa vuole dire la parola di speranza che abbiamo incontrato nel rito del Battesimo: dalla fede aspetto la « vita eterna » – la vita vera che, interamente e senza minacce, in tutta la sua pienezza è semplicemente vita. Gesù che di sé ha detto di essere venuto perché noi abbiamo la vita e l’abbiamo in pienezza, in abbondanza (cfr Gv 10,10), ci ha anche spiegato che cosa significhi « vita »: « Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (Gv 17,3). La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente della vita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita. Allora « viviamo ».

Spe Salvi 27

San Tommaso d’Aquino, nel suo trattato sulla speranza, all’interno della Summa (IIa-IIæ, q. 17, a. 2 conc.), dice lo stesso:

La speranza di cui ci occupiamo tocca Dio, appoggiandosi sul suo soccorso per pervenire al bene sperato.

Dio non promette il benessere ma la felicità. La speranza umana può proseguire il benessere come proprio oggetto, ma rischia di risultare deluso e frustrato. La Speranza, al contrario, si lega a ciò che non può deludere. Georges Bernanos distingue bene ciò che ci può saziare da ciò che non può colmarci:

Non sperano se non quanti hanno avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne dove trovavano una sicurezza che falsamente essi prendevano per speranza.

Georges Bernanos, La liberté pour quoi faire ?




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Un puro desiderio

La speranza non risiede che in Dio, il quale è il solo a poterci condurre alla beatitudine promessa per l’eternità. Sappiamo che niente è assicurato in anticipo e che dobbiamo conservare in cuore il santo timore di Dio, che è rispetto e desiderio puro. La speranza non è una maniera facile di distrarre lo spirito dalle prove o di voltare le spalle a un mondo spesso catastrofico. Essa afferma e conferma la fede, che detiene un primato su di lei, e va di pari passo con la carità che la informa.


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Nel 1944 Paul Claudel parlava della Francia che aveva ritrovato la speranza. Quel tipo di speranza non basta – quella di ritrovare la libertà o l’onore. La speranza che ci porta in braccio è quella che c’introduce delicatamente nell’anticamera del Paradiso.

Nella trilogia:


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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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