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Un’altra storia di utero in affitto durante la pandemia. La maternità è straziata

GAY COUPLE

Di Monkey Business Images|Shuttersrtock

Paola Belletti - pubblicato il 20/05/20

Un uomo, gay, desidera diventare padre con la surrogata in America. Solo "a lavori iniziati" informa il sopraggiunto fidanzato. Come al solito i magazine raccontano queste storie come si trattasse di questioni di cuore, mentre si tratta di rendere schiave le donne e comprare bambini.

Un’altra storia di utero in affitto durante la pandemia

Due padri, una mamma, una tata, un oceano, una pandemia. E, al centro di tutto, un bebè



Nato nel bel mezzo del lockdown da una madre surrogata americana per conto di una coppia italiana, che non può volare negli Usa per portarlo a casa. Quando si dice che fare un figlio è un’avventura…(
Elle, 18 maggio 2020)


Non basta la foto con il tramonto, le sagome scure di due uomini per mano ad un bimbo, il riflesso dell’oceano. Non basta un titolo forte, un catenaccio morbido che finisce con i puntini di sospensione per coprire la ferocia proceduralizzata di questa pratica, sempre quella: l’utero in affitto. Che continua a mietere vittime, e fare girare soldi, in tanti paesi. La novità narrativa è che adesso c’è di mezzo la pandemia e le misure restrittive e allora, forse, si scopre che il desiderio non è il motore del mondo.


KIEV, SURROGACY, NEWBORNS

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Provate anche voi a leggere questa “testimonianza raccolta” da Monica Piccini per Elle e a non ribollire di sdegno e dolore. Anche a me pare una testimonianza ma vorrei che fosse messa agli atti, in un processo penale.

Desiderio

Il mio percorso interiore per diventare papà è cominciato 12 anni fa. Seguendo un desiderio che ho sempre sentito, nel cuore e nello stomaco. (Ibidem)

Si racconta così, questo professore universitario di recente civilunitosi con un ex studente dello stesso ateneo, Stefano. Lo fa con uno stile caldo, simpatico, autoironico. E’ tutto super, smart, friendly, wow. E il contrasto con i fatti che popolano il racconto non fa che acuirne l’orrore.

Accompagnato dal mio migliore amico, nel settembre 2016 a Los Angeles incontro il dottore della clinica designata, lascio il mio seme e firmo i contratti. Tornato in Italia comincio la ricerca online della donatrice di ovociti (per legge dev’essere diversa dalla madre surrogata). (Ibidem)

Maternità surrogata, maternità straziata

Tra parentesi, buttato lì come cosa che non necessita di spiegazioni poiché se si di legge significa che è cosa buona, no? – ecco il cameo del regista dell’horror “maternità surrogata”: la madre portatrice DEVE essere diversa dalla donatrice. La maternità deve essere scomposta, straziata, resa irriconoscibile nei suoi tratti biologici essenziali per poi essere ricostruita artificialmente con il solo materiale emotivo rimediato dai genitori desideranti, pieni di intenzione, impugnanti un contratto e dotati di conto in banca. E la storia prosegue, riferita senza percepirne la follia e l’ingiustizia radicale. E tornando al titolo del pezzo del magazine femminile, no! Il bebè non è affatto al centro di tutto. Se non come bersaglio, se non come oggetto di desiderio, se non come vittima. E se c’è una vittima, state certi, che c’è a anche una divinità a cui viene sacrificata.


GOVERNOR A.CUOMO

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Io usavo slide di power point, flow chart, mappe concettuali: così spiegavo durante la formazione come avviene che so, la produzione di un capo d’abbigliamento, o il processo di selezione di  nuovi collaboratori. Qua si fa praticamente lo stesso, ma alla fine delle frecce c’è un bambino, prodotto su ordinazione e privato per contratto della propria madre, ma soprattutto ottenuto in cambio di cospicui versamenti in denaro. (Lo vedi che il dio in questione si trova in fretta?)

Lo screening dura un anno. Perché, su 700 possibili candidate, le ragazze che scelgo non sono disponibili al momento. Alla fine le mie preferenze si concentrano su una ragazza dai capelli rossi e una studentessa stile Rihanna. La prima rifiuta, la seconda accetta.

Mio figlio avrà la pelle più scura della mia. La scelta si rivela fortunata: la ragazza bella come una popstar produce 33 ovuli, un record! Di solito ne prelevano al massimo 12. A novembre 2017 dalla clinica americana mi comunicano che tra gli ovuli fecondati in vitro ben 18 sono diventati embrioni.

Violenza sulle madri, violenza sui bambini

In questo snodo si vede bene come questa mala pianta dell’utero in affitto ramifichi e ferisca coi suoi rami nodosi e carichi di spine donna e figli. Immagino che, prima o poi, qualsiasi madre surrogata accuserà il colpo per essere stata trattata come una fabbrica, per essere stata usata. Succede già ma le loro voci vengono spessissimo silenziate. E il fatto di essere consenzienti, a suo tempo, si rivelerà come un’aggravante terribile. Sapete che questa voce, poiché tendeva fastidiosamente a farsi urlo viscerale, straziante, è stata soffocata sul nascere con un’altra bella clausole del contratto di surrogacy?

Secondo le condizioni di molti contratti di surrogacy la madre portatrice, subito dopo il secondamento, ovvero l’espulsione della placenta, viene sedata. In questo modo le foto di rito con i genitori acquirenti verranno più carine e coccolose. (Per approfondire, qui)

A quel che racconta costui, sembra che tra lui e la madre portatrice sia tutto un rincorrersi di empatia, liberazione della donna e scelte autodeterminate (bambini esclusi, è ovvio). Ma che ne può sapere un uomo che disprezza così tanto la femminilità  di maternità? Un uomo che giudica una femmina dalle uova che produce, da quanto gli ricordi una pop star?

Epoca di donne emancipate? liberissime di vendere ovuli, corpo, utero, figli.

Ma noi donne non eravamo fornite di un radar sensibilissimo? almeno così a me pareva: qualcosa che ribolle, che ci spinge a sottrarci quando ci sentiamo usate, ridotte a semplice oggetto di desiderio e non più soggetto amato per intero. Ci chiudiamo, ci avviliamo, tentiamo se possibile di sottrarci a questa umiliazione. Questo urbanissimo professore universitario, invece, parla di questa donna come di una gallina ovaiola. E per arrivare alla due potenziali candidate sembra che abbia per le mani delle cards da collezione o che sfogli un’app di matching (funzionerà così, all’incirca!). Tieni o scarti? Tengo: è carina, hai capelli rossi; è nera, wow! Mi farà un bambino bellissimo.

Invece di bambini ne fa 18 ma la maggior parte di loro resterà bloccata allo stadio embrionale. Saranno conservati per quale scopo? Di alcuni possiamo immaginare la sorte: seguite il racconto di questa ferocia medicalmente praticata che si intreccia con la love story tra i due; è una danza commovente, un ritmo trascinante che di sicuro convincerà i più assuefatti poichè trattandosi di molto molto love, la storia del bimbo non potrà che andare a finire bene, anzi meglio.

Stiamo insieme da appena un mese quando arriva la lettera dalla clinica in cui c’è scritto che dei 18 embrioni 8 sono sani: cinque di sesso maschile, tre femminile. (Ibidem)

La selezione è naturale se è questione di desiderio! I malati non li vuole nessuno

I dieci non sani? (chissà poi cosa si intende per non sani. La medicina si atteggia in questi casi a scienza esatta ma in realtà le indagini preimpianto e anche quelle prenatali sono vistosamente approssimative)

E, questione più stringente che mi sento sgorgare dal cuore e rivolgerei all’amorevole acquirente di bambini “più sani”: i disabili, i malati vanno discriminati al punto da impedire loro di nascere? Dai campioni del diverso è bello, ognuno ha diritto alla felicità, l’importante è essere sé stessi senza per forza essere incasellati in categorie, mi sarei aspettata maggiore larghezza di vedute. Ma ormai non ci sono più troppe apparenze da salvare e siccome un bambino lo desidero davvero davvero tanto lo voglio al top, bello, sano, mulatto. E poi, leggerete nel resto del pezzo, la quota “disabili” è già coperta. Dalla madre portatrice, lesbica, civilunita anche lei: si occupa propri di bimbi con handicap.

L'”amore” resiste anche agli ostacoli della pandemia

Ma non perdiamoci in dettagli di poco conto, qua si tratta di sentimenti veri, di amore che vince ogni paura, qua si ha a che fare con uomini tosti che sanno dire sì, partiamo: andiamo a prenderci il figlio che hai fatto concepire in laboratorio -con il seme che anni fa hai depositato in clinica; che successivamente hai fatto portare in utero da un’altra donna e che ora, a bonifico ricevuto, sarà finalmente “nostro figlio”! Ma che nell’attesa sta a casa di Christy, la tata tutor dell’agenzia tanto efficiente. (Tariffa extra per la tata o farà parte della customare care in condizioni eccezionali?)

A quel punto penso: lui lo deve sapere. Perché se poi c’innamoriamo? Lo convoco: «Ti devo parlare». Ansioso com’è, va subito nel panico. «Ti ricordi del viaggio in America? Andiamo perché sto per avere un figlio». Tira un sospiro di sollievo: «Chissà che m’immaginavo! Mi hai fatto spaventare». Pensava avessi una moglie da qualche parte. Per incoscienza e per l’amore che già sentivamo, da subito Stefano ha parlato di Ettore come di “nostro” figlio.

Ora però c’è il problema del lockdown ma un vero padre di intenzione, che ha fatto tutto da remoto, tranne l’estrazione del seme, e che è uno smartworker vero, non ha paura di fare 10, 20, 100 telefonate.

A ognuno dico: «Devo andare a prendere mio figlio». Un’impiegata gentilissima del JFK di New York mi ha assicurato che posso entrare se in possesso del certificato di nascita di mio figlio (sono il padre biologico). Peccato che, per l’ambasciata americana in Italia, l’ultima parola spetti all’ufficiale di frontiera. Anche munito di visto di ricongiungimento familiare. E se non mi fanno entrare? Boh, la risposta non la sanno neanche loro. Forse – scherzo – mi buttano in una stiva e mi fanno ritornare. In ogni modo, appena riprendono i voli parto, poi risolverò di persona.

Sì perché questo bimbo, Ettore, è nato già da più di un mese ed è a casa di Christy, tutor che lui preferisce chiamare tata. Con la di lui delega e provvista del certificato di nascita di Ettore si è presentata in ospedale e se l’è portato a casa sua in Texas.

Certo, non fa l’effetto dei 46 bambini stoccati all’Hotel Venezia di Kiev, in Ucraina, ma è pur sempre una merce in attesa di essere consegnata. “Ora la merce si trova al punto ritiro xy, traccia il pacco”.

Maledetto lockdown che ti metti in mezzo tra il desiderio di un uomo di diventare padre e il bambino che ora anche il giovane Stefano chiamerà indebitamente figlio!

Ma i due uomini sono abbastanza fiduciosi, credono che presto la burocrazia mollerà la presa e potranno finalmente incontrare loro figlio. Li riconoscerà senza problemi: del resto ha ascoltato dal ventre della madre gestante le note audio con le favole della buona notte che i due gli hanno inviato durante i nove mesi, non sarà affatto un problema per lui passare da Christy, che comunque non è sua mamma, a Stefano e suo “marito”.

Tante madri, nessuna madre. Nemmeno la suocera

Tre sono dunque le donne, per ora, che ruotano intorno a questo piccolo sopravvissuto, scampato alla falcidia della selezione preimpianto e all’imperativo del padre biologico che dice in uno slancio di amore incondizionato: «Scegliete l’embrione più sano»!. E così è stato fatto: e il 15 agosto Ettore trovava forse un po’ di pace nell’utero di Noa.

Quindi riassumendo abbiamo la giovane studentessa stile Rhianna con superovaie; Chris – la tata tutor che ora si prende cura del piccolo di un mese e Noa, la gestante.

la mamma surrogata proposta dall’agenzia. A differenza dell’ovodonatrice, con cui per legge non ho avuto alcun tipo di contatto, con la mamma surrogata il match è anche psicologico, cioè ci si deve piacere a vicenda. La procedura prevede di scambiarsi un test con una serie di domande tipo: sei etero/gay? Hai un compagno? Come intendi crescere il bambino? Solo dopo l’ok a procedere da entrambe le parti ci si conosce, nel nostro caso con una chiamata via Skype. Noa, sposata con una donna, ha una figlia di tre anni. Per lavoro si occupa di minori con disabilità. Vive a Boise, capitale dell’Idaho.

Ma ci sono anche le donne delle famiglie d’origine dei due uomini, suocere, cognate, mamme. Ci penseranno a loro a mettere le cose al loro posto: le tutine in alto, i bosy in basso; i pannolini vicini al fasciatoio. E la verità che vada a farsi benedire: avranno anche loro il diritto di sentirsi nonne e zie d’intenzione, no?

Nessun ostacolo all’arrivo di Ettore o meglio se c’era lo hanno saltato a piè pari con un bel “balzo quantico”.

Non sapevano neanche che fosse gay. Per dire loro dell’arrivo del bambino abbiamo aspettato che tornasse per le ferie suo fratello, che vive in Canada. È stata la cognata canadese super smart ad aiutarci a raccontarlo ai miei suoceri. Sono stati subito dalla nostra parte. La mia famiglia poi, dove vige un patriarcato di facciata e un matriarcato di fatto, è super felice dell’arrivo del nipote. Mia madre e mia suocera hanno cucito tutto il cucibile per Ettore. Se non fosse per il coronavirus, anche mio padre e mia sorella sarebbero venuti con noi negli Usa per la nascita del nipote».

Per fortuna che c’era la cognata canadese. Loro sanno come si fanno queste cose. A breve ci istruiranno anche su eutanasia infantile, suicidio assistito a disabili o depressi e via discorrendo.

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