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Il cardinale Zuppi: l’ira si sconfigge con sdegno e perdono

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Andreas SOLARO / AFP

Matteo Zuppi

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 21/06/22

“L’ira non si può dominare quando ci possiede, e non permettiamo, che l’amarezza che essa provoca la faccia crescere”

Sdegno e perdono: è la “ricetta” giusta per abbattere l’ira quando essa ci assale, secondo il cardinale Matteo Zuppi.  Cosa intende il nuovo presidente della Cei? Lo sdegno è una reazione di disprezzo. E parlare di perdono è semplice a dirsi…ma difficile a farsi! 

Nel libro Guarire le malattie del cuore (Edizioni San Paolo), il cardinale ci spiega bene cosa intende con il suo “metodo” (“sdegno” e “perdono”) che sconfigge ira, rabbia, rancore verso l’altro/gli altri.  

ANGRY, WOMAN

Gli egocentrici sono più vulnerabili all’ira

Secondo il cardinale Zuppi, l’ira rivela, in maniera evidente, quanto siamo primitivi, la rozzezza della nostra anima e la fragilità dei nostri sentimenti. L’individualismo e l’egocentrismo, che incontrano così pochi contenimenti, ci rendono molto più vulnerabili all’ira, perché ci fanno sentire in diritto di ottenere, pensando che tutto possa e debba essere piegato alla propria necessità.

Espressione ultima del nostro malessere

L’ira diventa così espressione ultima e dominante del nostro malessere. Certo, alcune condizioni fisiche causano esse stesse un modo irascibile, per un mondo che la paura e la solitudine ci fa vedere sempre minaccioso, diventando noi stessi aggressivi. Pensiamo ad esempio al traffico e alla cattiveria che si consuma per la strada; alla fretta, alla rapidità delle decisioni che ci viene imposta, all’aggressività istintiva, all’ansia di competizione, alla voglia istintiva e immediata di gara, di sfida. Quanti pochi momenti, al contrario, di silenzio, di pausa, di riflessione!

Così perdiamo il controllo

Una piccola o grande contrarietà ci fa perdere subito il controllo, perché irritati dal non funzionamento che appare ingiusto. Ricordarci di questa condizione ci deve rendere più edotti e attenti a dominare noi stessi, ad esercitarci per evitare che l’ira, ad un certo momento, davvero non più dominabile, ci trascini dove noi non abbiamo deciso e non avremmo voluto arrivare. 

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L’ira è paragonabile ad un demone

L’ira, sentenza il cardinale Zuppi, è davvero un demone: quando ne siamo posseduti è davvero difficile fermarla e deve solo, dolorosamente, passare! E questo ci dovrebbe davvero molto spaventare e aiutarci a non convivere con tanti sentimenti che la preparano e la fanno crescere. A volte crediamo che l’ira sia un senso di giusta reazione, una punizione necessaria (sempre per gli altri!), come quando i discepoli chiesero, probabilmente contrariati e adirati, al Signore se voleva facessero (sic!) scende- re dal cielo un fuoco che doveva consumare il villaggio samaritano colpevole di non averli accolti! 

Il “chiarimento” di Gesù

Per questo Gesù chiarisce che anche chi si adira con il proprio fratello è un omicida (Mt 5,22) e per questo ci chiede di amare anche i nemici, per evitare che il seme dell’ira possa crescere, come avviene, nella chiusura e nella presunzione, nell’amarezza o nello sconforto.

L’arma della lingua

Quanti scatti violenti, quante parole indecenti sgorgano, alla fine, come un fiume in piena dalla nostra bocca! Quanti crimini orrendi distruggono rapporti con il prossimo, afferma Zuppi, al di là della volontà e delle reali intenzioni! L’ira non ha età né razionalità: acceca il bambino piccolo, come l’adolescente, la persona ma- tura e l’anziano. L’ira rende tutti volgari e attizza la terribile arma della lingua come, purtroppo frequentemente, le maniSolo l’esercizio della mitezza e del perdono può aiutarci a sconfiggere l’ira e a evitare che s’impadronisca di noi. 

L’antidoto all’ira

Il perdono è antidoto all’ira. «Se tuo fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo sono pentito, tu gli perdonerai» (Lc 17,4). Ascoltiamo l’invito dell’Apostolo agli Efesini: «Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef 4,31). 

Il suggerimento di San Paolo

Per non farsi prendere dall’ira, avverte il cardinale Zuppi, mettiamo in pratica quanto suggerito da Paolo, parlando un linguaggio chiaro, trasparente, che impedisca i malintesi o che faccia crescere, in una falsa sopportazione, il rancore e l’odio (cfr. Ef 4,25). «Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri. Nell’ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo». 

“L’ira di Dio” è sdegno

L’ira non si può dominare quando ci possiede, e non permettiamo, che l’amarezza che essa provoca la faccia crescere. Dobbiamo conservare lo sdegno, non l’ira. Gesù si sdegna dell’atteggiamento di durezza dei farisei e degli scribi ed è sdegnato, in maniera molto concreta, di quanti hanno reso la sua casa un covo di ladri. Se non fosse così, non sarebbe indifferente? «L’ira di Dio» indica la radicale opposizione verso tutto ciò che è peccato. E il suo sdegno trova la più alta espressione nella croce. 

07 – WEB – HJ001 – Healing of Dropsical Man, Decani Moneatary fresco, Serbia
«Un giorno di sabato, Gesù era entrato nella casa di un capo dei farisei per pranzarvi, e questi lo osservavano. Ora, ecco che c’era davanti a lui un uomo malato di idropisia. Prendendo la parola, Gesù si rivolse ai dottori della Legge e ai farisei per chiedere loro: “È lecito, sì o no, fare una guarigione in giorno di sabato?”. Ma quelli rimasero zitti. Toccando allora il malato, Gesù lo guarì e lo lasciò andare. Poi disse loro: “Se uno di voi ha un figlio o un bue che cade in un pozzo, non va subito a tirarlo fuori di là, anche in giorno di sabato?”. E furono incapaci di rispondergli» (Lc 14, 1-6). Gesù guarisce il malato di idropisia, affresco del monastero di Decany, Serbia.

“Difende lo spirito d’amore del Padre”

Non dobbiamo forse sdegnarci di fronte alle condizioni inaccettabili d’ingiustizia, d’indifferenza diffusa? Gesù ci chiede di non accettare passivamente la mentalità comune. Lo sdegno aiuta il fratello e difende lo spirito di amore del Padre

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